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martedì 8 Luglio 2025
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Brian Clough, l’ultimo grande manager del vero football all’inglese

17 ' di letturaDiciamoci per un attimo la verità. Quante volte ci stupiamo di questo mondo che accelera costantemente sotto i nostri occhi, senza darci neanche la cortesia di avvisarci prima di cambiare completamente? Non è solo la tecnologia a mutare in continuazione: il problema è che l’essere umano ormai si trasforma con una velocità impressionante. Una spinta all’apparenza inarrestabile che non dà tempo di fermarsi, di ragionare, di ricordare. Ci impedisce di elaborare i cambiamenti, con la terrificante conseguenza di doverli necessariamente abbracciare in maniera completamente acritica per evitare di affogare trascinati verso il fondo dal vortice impetuoso del progresso.

Ricordare com’era il mondo venti anni fa è più difficile di quel che sembra. Pare che sia passato un secolo dal 20 settembre 2004. Un tipico giorno d’autunno, almeno in Inghilterra: la tonalità del cielo decisamente sul grigio, un leggero ma costante venticello e quella pioggia dalle gocce sottili e sempre di traverso che danno fastidio ma non inzuppano i vestiti. Il marchio di fabbrica di un’intera nazione, uno stato d’animo più che meteorologico, prima che anche quelle precipitazioni leggiadre si trasformassero sempre più spesso in scrosci più adatti alle regioni equatoriali.

Il 20 settembre 2004 non è un giorno come gli altri. Non è il classico lunedì in cui nessuno ha voglia di lavorare e ci si riunisce attorno a un caffè per discutere delle partite del weekend appena concluso, ancora immuni da quei dannati smartphone che oggi tengono tutti incollati allo schermo. Il 20 settembre 2004 non solo il calcio, ma l’Inghilterra intera ha perso uno dei suoi personaggi più controversi, geniali, brutali che abbiano mai calcato le strade dell’isola nel secondo dopoguerra. Quel lunedì, a soli 69 anni, Brian Clough si ritirava dalla vita terrena.

Brian Clough con la Coppa dei Campioni
Brian Clough con la Coppa dei Campioni – da uefa.com

Sono passati poco più di venti anni dalla sua morte, ma pare davvero che sia trascorso un secolo, forse anche qualcosa di più. Perché in questo mondo in perpetuo movimento certi modi di essere e di vivere sono diventati talmente rari da non essere più considerati esistenti, quasi delle razze in via d’estinzione. Tanto che una figura come quella di Brian Clough rischia di diventare un ricordo sbiadito di anziani tifosi sempre più inorriditi dal football moderno.

Non era un’icona della perfezione il buon Cloughie, come lo chiamavano i suoi giocatori. Anzi, era pieno di difetti e di contraddizioni. Egocentrico come nessun altro allenatore, prepotente al limite del bullismo. Arrogante e con quella brutta tendenza a voler passare sempre davanti agli altri, a pensare di avere sempre ragione. Dotato di una lingua tagliente che non riusciva mai a tenere a bada. E con un rapporto distruttivo con la bottiglia, un caso studio di come la dipendenza possa abbattere chiunque.

Brian Clough aveva però degli sprazzi di vera e propria genialità. Impossibile trovarli sulla lavagna tattica, praticamente inesistente al Derby County o al Nottingham Forest. Li esprimeva nelle interazioni con gli altri esseri umani, per mezzo di quelle frasi spesso brevi e completamente spiazzanti che riservava a chiunque. Giocatori, colleghi, dirigenti, giornalisti: nessuno era al sicuro. Colpi sferrati con quello sguardo capace di convogliare a comando ogni emozione possibile e con quell’accento del nord est che agguantava chiunque avesse a portata di orecchio e non lo lasciava più.

Non ci potrebbe essere personaggio più distante dal presente. C’è chi ritiene che potrebbe fare l’allenatore anche ora: è una follia. Troppo distante dalla preparazione maniacale al limite dell’ossessione di ogni singolo dettaglio e dalle comunicazioni standardizzate utili a non dire nulla senza offendere nessuno. Il calcio moderno non avrebbe alcun senso per Brian Clough. Ed è proprio per questo che è bene ricordarlo: per il suo essere, a momenti alterni, irrimediabilmente sbagliato, inguaribilmente idealista o completamente folle. In una parola, diverso da tutto quello che si vede ora.

Per certi versi un precursore, per altri un rigido conservatore. Pieno di difetti e spigoli impossibili da ammorbidire, ma allo stesso tempo adorato da quasi tutti coloro alle sue dipendenze. Insieme despota e filosofo, bullo e guida dei suoi giocatori, tutti appellati col suo classico “son”. Un personaggio della caratura di Brian Clough manca, eccome se manca, al football moderno.

Brian Clough, il giovane bomber arrogante

«How many goals do we have to score to win away from home?»

Pochi ricordano che Brian Clough, prima di essere un grandissimo manager, è stato un grandissimo goleador. Ha segnato qualcosa come 251 reti in sole 274 partite, anche se la gran parte di queste in Second Division. Ha firmato triplette a profusione, arrivando addirittura a infilare 5 reti in una sola partita. Il tutto in soli 10 anni di carriera, interrotti da un infortunio al ginocchio che lo costrinse a smettere.

Ha giocato principalmente al Middlesbrough, la squadra della sua città. Cloughie era innamorato della sua infanzia passata con otto fratelli, mentre i genitori dovevano lavorare tutto il giorno per mettere del cibo nei troppi piatti vuoti posti a tavola. Quel luogo che a tanti non fa pensare ad altro che alla povertà, per lui era un piccolo angolo di paradiso. Così, dopo il servizio di leva, firmò il suo primo contratto da professionista proprio con il Boro, con cui ha segnato 200 gol ma non è mai riuscito a conquistare la tanto agognata promozione in First Division.

Un giovane Brian Clough da giocatore del Middlesbrough
Un giovane Brian Clough da giocatore del Middlesbrough – da brianclough.co.uk

Non poteva essere colpa sua. Il tabellino segnava implacabilmente, alla fine di ogni stagione, un numero che oscillava tra le 30 e le 50 reti segnate. Piuttosto guardava a quella difesa poco organizzata che faceva passare ogni attaccante avversario. Ma se avere 25 anni a quei tempi non garantiva diritto di parola, Brian Clough era fatto di tutt’altra pasta. Così, dopo un pareggio clamoroso per 6-6 in trasferta a Charlton, il giovane bomber non poté che esprimere a suo modo il proprio disappunto: «Quanti gol dobbiamo segnare per vincere in trasferta?»

Non era la prima delle provocazioni che il ragazzo lanciava ai suoi compagni. Aveva addirittura accusato i senatori dello spogliatoio di scommettere contro la propria squadra, di concedere reti agli avversari volontariamente per guadagnare qualche sterlina in più. In un’occasione, forse più d’una, si arrivò alle mani. Non è un caso, così, che Clough fu ceduto alla fine della stagione ‘60/’61. Molto più strano, soprattutto per l’epoca, è il club dove fu spedito senza tante cerimonie: il Sunderland, nemico giurato del Middlesbrough.

Non sarà l’ultimo trasferimento assurdo della sua lunga carriera.

I rapporti tesi tra Brian Clough e il resto del mondo

«No cheating bastards do I talk to. I will not talk to any cheating bastards»

Brian Clough non verrà mai ricordato per le sue grandi doti diplomatiche. Anzi, con quelle dichiarazioni sempre sul confine ultimo di ciò che è accettabile ha rischiato di creare almeno un paio di incidenti internazionali. Per esempio, non ha mai fatto mistero di non apprezzare particolarmente i calciatori provenienti da oltre confine.

Chiamato una volta a commentare la cospicua presenza di calciatori francesi all’Arsenal, disse: «Scommetto che lo spogliatoio puzzerà di aglio più che di pomate nei prossimi mesi». Gli andavano ancora meno a genio i giocatori italiani: «Non so fare lo spelling di spaghetti, figuriamoci parlare italiano».

Tanto di questo astio si può spiegare facilmente. Per iniziare, gli inglesi pensano al football a metà tra una loro creazione esclusiva e un figlio prediletto. Nessuno può giocarlo meglio di loro. Poi, ci sono le cicatrici personali di Brian Clough alla guida del Derby County.

Da sbarbatello in uscita dalla panchina dell’Hartlepool, in quarta divisione, era entrato in un club che languiva in Second Division. L’esperienza era poca, ma il carattere non mancava fin dagli anni passati in campo: fin troppo arrogante ed egocentrico, talmente idealista da rischiare tutto per andare sulla sua strada.

Insieme al vice Peter Taylor, ex portiere del suo Boro, mise in atto una vera e propria rivoluzione. Ogni angolo del club venne preso e rivoltato come un calzino sporco. Dei giocatori della precedente gestione solo 4 rimasero nello spogliatoio. Fece fuori il segretario, il capo scout, il giardiniere e anche le due signore che portavano il tè alla squadra, cacciate sul momento dopo averle scovate sghignazzanti in seguito a una sconfitta.

Brian Clough e Peter Taylor alla guida del Derby County
Brian Clough e Peter Taylor alla guida del Derby County – da x.com/cloughandtaylor

In poco tempo il Derby County era diventato la sua creatura. La squadra giocava per lui e come voleva lui. Palla tenuta rigorosamente a terra ma senza andarsi a cercare troppe complicazioni; azioni indirizzate verso l’esterno per le ali e tanti cross al centro, alti o bassi a seconda della situazione, per le due punte pronte a tuffarsi di testa. Poche le indicazioni tattiche, ma sempre estremamente chiare e concise, espresse sempre da Taylor. Clough non se ne interessava minimamente, lui pensava a motivare i suoi ragazzi: «I giocatori ti fanno perdere le partite, non le tattiche. Ci sono così tante stronzate dette sulla tattica da persone che a malapena sanno come vincere a domino».

I risultati gli diedero ragione. L’anno dopo la promozione in First Division arrivò subito al quarto posto, la stagione successiva vinse il campionato. Un trionfo insperato che portò in dono anche l’accesso alla Coppa dei Campioni, una competizione che rimarrà nel suo destino. Attenzione, la vera Coppa dei Campioni: quella che vedeva una sola squadra per nazione affrontarsi in sfide di andata e ritorno. Dopo un eccitante scontro con il Benfica, dominato al Baseball Ground, in semifinale si trovò davanti la Juventus di Zoff, Capello, Causio e Altafini. A Torino non ci fu storia e i bianconeri si imposero per 3-1.

Clough non accettò di buon grado il verdetto del campo. Per lui era lampante: era colpa dell’arbitraggio, chiaramente a favore dei padroni di casa. Era sicuro che gli juventini avessero passato una sostanziosa bustarella al fischietto tedesco Schulenburg. A fine partita sbottò. I giornalisti italiani avrebbero voluto una sua intervista, ma si chiuse in spogliatoio. Aprendo la porta urlò: «A nessun bastardo imbroglione rivolgo parola. Io non parlo con imbroglioni bari». Pochi minuti dopo rincarò la dose mettendo in dubbio il coraggio del popolo italiano durante la Seconda guerra mondiale.

Non fu una scenata casuale. Con la crescita della sua popolarità, Brian Clough dimostrò di essere capace come nessun altro di utilizzare i media per i suoi scopi. Un vero pioniere della comunicazione, acclamato da giornali e stazioni televisive pronte a stendergli il tappeto rosso sotto i piedi pur di ospitare le sue risposte ficcanti. È indubbio, però, che Cloughie si fece trasportare eccessivamente dalla grande fama nata così rapidamente, fino a diventare succube della sua enorme personalità.

Brian Clough vestito di tutto punto in tv
Brian Clough vestito di tutto punto in tv – da imbd.com

Chi mal sopportava questa noiosa arroganza era la dirigenza del Derby County. Il credito guadagnato per la vittoria del titolo si esaurì presto e gli scontri diventarono sempre più costanti. La goccia che fece traboccare il vaso arrivò nell’autunno 1973: il presidente del Derby County Longson accusò Clough di avere mandato a quel paese nientemeno che Sir Matt Busby, il leggendario allenatore del Manchester United sopravvissuto al disastro di Monaco. Clough per tutta risposta disse di non aver rivolto il “v sign” a Busby, ma proprio al presidente Longson. Fu licenziato pochi giorni dopo.

Brian Clough e il Leeds United: un matrimonio destinato a fallire

«The first thing you can do for me is throw your medals in the bin because you’ve never won anything fairly; you’ve done it by cheating»

Il film “Il maledetto United” ha portato al grande pubblico, anche ai non appassionati di football, una delle storie più assurde mai viste su un campo da calcio. Quella di un matrimonio impossibile, inimmaginabile prima del suo compimento. Come prendere il diavolo per le corna, spruzzarci sopra una gran dose di acqua santa e sperare che non nasca un putiferio. E non poteva che essere Brian Clough il protagonista di questa follia collettiva.

Nel corso delle sue illimitate apparizioni tra radio, tv e giornali Cloughie non risparmiava nessuno, ma c’era qualcuno con cui l’aveva proprio a morte: il Leeds United di mister Don Revie. Un manager che aveva instillato nella sua squadra una cultura vincente ma inammissibile per Brian Clough. Le loro filosofie erano esattamente all’opposto. Revie promuoveva la ricerca della vittoria con ogni sotterfugio e l’estrema fisicità dello scontro fisico, spesso oltre i limiti del fallo. Concetti inammissibili per il manager del Derby.

Cloughie era implacabile nei suoi assalti, dei veri e propri insulti senza quartiere. I giocatori erano tutti degli imbroglioni matricolati, dei giocatori scorretti, dei teppisti, dei veri bari bastardi. Proprio come quelli che aveva incontrato in maglia bianconera a Torino. Arrivò addirittura a chiedere alla FA la retrocessione d’ufficio dei Whites in Second Division, come punizione per il loro gioco oltre i limiti del regolamento.

Don Revie alza la FA Cup con il suo Leeds United
Don Revie alza la FA Cup con il suo Leeds United – da scotsman.com

Nell’estate 1974 Don Revie accettò l’incarico di manager dell’Inghilterra e si trovò costretto a lasciare la panchina di Elland Road, subito dopo aver vinto il titolo. In molti speravano di potergli succedere, ma pochi giorni dopo arrivò l’annuncio che nessuno si aspettava: il nuovo allenatore del Leeds United sarebbe stato proprio Brian Clough. Lo spogliatoio dei Whites rimase basito. I giocatori, a loro dire, riconoscevano il suo valore, ma troppe parole erano state dette per poter spegnere l’animosità. Sarebbe stato necessario un gesto di avvicinamento da parte del nuovo manager, magari nel primo raduno della nuova stagione.

Clough aveva giocato i media come suo solito, riempiendoli di dichiarazioni su come non vedesse l’ora di lavorare con quel gruppo di giocatori. Ma quando si presentò in spogliatoio e si parò davanti a tutti, con quel suo fare arrogante e il sorrisetto perfido, lanciò invece una bomba: «Giocherete pure tutti in Nazionale, avrete vinto tutto quello che potevate vincere con Don Revie. Ma per quanto mi riguarda, la prima cosa che potete fare per me è prendere i vostri premi e buttarli nel cestino perché non avete vinto nulla onestamente; l’avete fatto barando».

Non contento, iniziò a prendersela con ogni singolo giocatore, senza fare prigionieri. Qualcuno se la cavò con un «sei un bastardo scorretto», a Norman Hunter disse che non piaceva a nessuno nonostante lui volesse che lo amassero tutti. Superò definitivamente la misura con l’ala Eddie Gray, spesso colpito dagli infortuni: «Tu fossi un cavallo da corsa, ti avrebbero già soppresso».

Cloughie non pensò minimamente di dover cambiare il suo approccio alla gestione del gruppo e prese di petto i suoi nuovi giocatori. Però questo non era il Derby County fatto da ragazzi scelti da lui e Peter Taylor (che non lo aveva seguito nella nuova avventura). Questo era il Leeds United, campione d’Inghilterra due volte nei cinque anni precedenti, nonché semifinalista di Coppa dei Campioni e vincitore di una FA Cup. Negli spogliatoi di Elland Road c’erano uomini di successo, fatti e finiti, attaccati ancora una volta da quell’arrogante bastardo del nord est che li aveva insultati per anni.

Brian Clough alla guida del Leeds United
Brian Clough alla guida del Leeds United – da x.com/admiral1914

44 giorni. Tanto bastò alla dirigenza per capire che Brian Clough non era l’uomo giusto per raccogliere l’eredità di Don Revie al Leeds United e procedere al licenziamento. Un disastro totale anche per uno come lui, che difficilmente ammetteva di aver sbagliato qualcosa in panchina. «Non credo che si possa fare un buon lavoro nel calcio senza far arrabbiare qualcuno lungo la strada», disse in un’occasione il buon Cloughie. A Leeds sicuramente si impegnò per riuscirci.

Ricreare la magia al Nottingham Forest

«I wouldn’t say I was the best manager in the business. But I was in the top one»

Il fallimento di Leeds fu clamoroso, ma Brian Clough non volle sentire ragioni. Sentiva di aver fatto la cosa giusta e provò subito a dimostrarlo in quella che sarebbe diventata una leggendaria diretta televisiva organizzata in una stazione locale. Di fianco a lui nientemeno che Don Revie, col volto perennemente corrucciato e pronto a strangolarlo davanti a tutta la contea.

Revie difese con passione i suoi giocatori sparando a zero, senza mezzi termini, sull’approccio del suo nemico numero uno. Cloughie dovette concedere che la sua nemesi aveva raggiunto grandi traguardi, ma non poté trattenersi dal lanciare frecciatine: «Don è un po’ differente da me e i risultati dimostrano che forse ha ragione lui. Ma detto questo, io voglio essere me stesso».

Revie perse totalmente le staffe alla stoccata successiva. Piegandosi leggermente verso di lui, Clough sparò a bruciapelo: «Voglio vincere il campionato, ma voglio farlo in maniera migliore della tua». La replica del manager dell’Inghilterra fu glaciale: «Non c’è modo in cui tu possa vincere in maniera migliore della mia». Il battibecco tra i due fu interminabile e Cloughie cercò con tutto sé stesso di avvicinarsi al suo rivale, provando anche ad abbassare i suoi soliti toni esagerati. Evidentemente riconosceva di dover dimostrare qualcosa.

Brian Clough e Don Revie discutono in tv
Brian Clough e Don Revie discutono in tv – da brianclough.co.uk

Nei mesi successivi Clough attraversò un periodo difficile. La moglie aveva capito che qualcosa non andava. Le comparsate sui media si ridussero. Brian era più pensieroso, più cupo. Beveva di più, e non era un obiettivo semplice da raggiungere. Barbara rimase al suo fianco, soffrendo con lui. Nonostante quello che mostrava al mondo esterno, il fallimento di Leeds si fece sentire.

Ma Cloughie non voleva mollare. Così, dopo qualche mese, finalmente il telefono suonò. La chiamata proveniva da una città poco distante da Derby, un club di Second Division che aveva bisogno di qualcuno che potesse cambiare il volto alla squadra. Il Nottingham Forest poteva offrirgli tutto quello che cercava: un luogo dove poter risorgere senza limiti imposti dall’alto, dove poteva fare quel che voleva e dimostrare che la sua idea di calcio era ancora vincente.

Di nuovo raggiunto dal fido Peter Taylor, Clough diede inizio a una rifondazione totale del club. Taylor scovava i calciatori più talentuosi e adatti a seguire i pochi dettami tattici del mister, Cloughie li motivava a dare tutto sul campo. Pochi acquisti mirati, a cui si aggiunsero ragazzi recuperati dalla lista trasferimenti e giovani promossi in prima squadra. Proprio come a Derby, il gruppo si affidò totalmente al suo manager.

In quattro anni il Forest raggiunse risultati inimmaginabili. Conquistò prima la promozione in First Division, la stagione successiva dominò il campionato staccando di sette punti lo stellare Liverpool di Bob Paisley, a cui sfilò anche la Coppa di Lega. Un double ripetuto l’anno dopo, in cui Clough vinse la seconda Coppa di Lega di fila ma soprattutto quella Coppa dei Campioni sfuggita alla guida del Derby. Un risultato stellare, impossibile da immaginare per una cittadina come Nottingham. Una favola di cui il lieto fine sembrava già scritto. Invece la stagione successiva arrivò addirittura il bis in Europa.

Brian Clough e Peter Taylor posano con la Coppa dei Campioni
Brian Clough e Peter Taylor posano con la Coppa dei Campioni – da x.com/CloughandTaylor

Quali sono le squadre ad aver vinto due Coppe dei Campioni di fila? Tutte grandi regine del calcio europeo: Real Madrid, Ajax, Bayern, Benfica, Inter, Milan, Liverpool. E poi c’è il Nottingham Forest, la Cenerentola che quattro anni prima era in seconda divisione e tutto d’un tratto si è messa a sedere al tavolo delle grandi. Questa sì, una storia davvero irripetibile al giorno d’oggi.

Non è così strano allora che Brian Clough, ripensando ai suoi risultati in panchina, esclamasse con sicurezza: «Non direi che sono stato il miglior manager nel business, ma ero in prima posizione». Per una volta, nell’eccesso, era difficile dargli torto.

Brian Clough, il padre padrone del City Ground

«Told you lads, our captain is a fuckin fraud»

Il duplice successo in Coppa dei Campioni rimarrà il punto più alto della carriera di Brian Clough. Tra il 1981 e il 1983 il gruppo che ha colto di sorpresa l’intera Europa calcistica venne completamente smantellato. Peter Shilton, John Robertson, Trevor Francis, anche il fedelissimo John McGovern: tutti i titolari vennero venduti.

Ma a pesare di più di tutto fu l’abbandono di Peter Taylor. L’uomo che lo completava, calcisticamente e non, un vero e proprio fratello adottivo. Il caratteraccio di Cloughie era riuscito ad alienare anche colui che più lo aveva aiutato e compreso. Taylor se ne andò per tornare a Derby, lì dove tutto era cominciato per una delle coppie più iconiche del football, e incominciò a comprare tutti quei giocatori che aveva scelto per il boss. Brian non perdonò mai il tradimento e non gli rivolse più la parola.

Nonostante tutto Clough decise di rimanere comunque a Nottingham. Perché andarsene quando aveva una contea intera letteralmente prostrata ai suoi piedi? Da nessuna altra parte avrebbe ritrovato quell’ambiente. Sicuramente non nei club delle grandi città come Londra o Manchester, dove un uomo del nord est sempre con una pinta in mano e la lingua biforcuta pronta a sparare sentenze non sarebbe potuto essere sé stesso.

Meglio rimanere al City Ground e ripartire quasi da zero. Clough non vincerà più né titoli europei né campionati, riuscendo a collezionare “solo” altre due Coppe di Lega e una finale di quella maledetta FA Cup che non riuscirà mai a conquistare. Ciò in cui riuscì, però, è alimentare ancor di più il suo personaggio. Non perché volesse accrescere un’aura già a livelli da leggenda; non poteva proprio evitare di essere sé stesso. Al punto che ogni singolo giocatore passato dal City Ground si innamorò pesantemente di lui, anche se veniva trattato nel peggiore dei modi.

Martin O’Neill ha sempre ricordato come ogni giocatore di Clough facesse di tutto per ottenere un briciolo di approvazione. Questa poteva arrivare in un solo modo, un gesto distintivo: indice e pollice a formare un piccolo cerchio e l’urlo: «Brilliant, son!». Un marchio che Cloughie apponeva rarissime volte a pochi giocatori scelti. A O’Neill, come a tutti gli altri, dedicava invece il solito “v sign” e un bell’invito ad andare in quella località molto affollata.

Brian Clough non le manda a dire ai suoi giocatori
Brian Clough non le manda a dire ai suoi giocatori – da x.com/CloughandTaylor

Il portiere Mark Crossley ha raccontato tante altre storie. Arrivato da giovanissimo alla corte del Forest, debuttò contro il Liverpool perché tutti gli altri portieri erano infortunati o in prestito. Clough lo tenne in squadra per qualche altra partita, anche al ritorno dei più anziani, ma non evitava di riempirlo di insulti e di epiteti non ripetibili in italiano. Il più edulcorato era “Jigsaw”: «perché ogni volta che un cross entra in area vai a pezzi, son». E quando il giovane portiere divenne un po’ troppo sicuro di far parte della prima squadra, Clough lo spedì a giocare una partita in quinta divisione, nella squadra allenata dal figlio. Il club dilettante dovette anche pagare una multa per averlo schierato: Cloughie la detrasse dallo stipendio di Crossley.

Una delle grandi specialità della casa era il pugno nello stomaco. Lo ha ricevuto Crossley, perché aveva stretto la mano a un arbitro reo di aver diretto malissimo una partita. Se lo è beccato la punta Nigel Jemson, rea di aver sbagliato un cross verso l’area: «Alzati, son. Sei mai stato colpito prima d’ora?». A risposta negativa, Clough gli sferrò un destro e commentò: «Ora sì», prima di dirgli che era una disgrazia e diverse altre amenità.

Anche i suoi pupilli non potevano sfuggire al colpo ben piazzato. L’ultimo suo grande amore calcistico fu indubbiamente Roy Keane: Clough stravedeva per il futuro leader del Manchester United. Faceva tutto quello che lui chiedeva a un centrocampista: correre su e giù per il campo per inseguire gli avversari, passare il pallone, controllarlo bene. Eppure anche l’irlandese si è beccato un cazzotto ben assestato perché aveva sbagliato un retropassaggio verso Crossley. Il commento di Clough sull’evento fu lapidario: «Ho colpito Roy solo una volta. Si è rialzato, quindi non devo aver tirato molto forte».

Clamorose le prese per i fondelli riservate ai giocatori più conosciuti dello spogliatoio. Una delle più famose è quella riservata a Stuart Pearce, uno che si era guadagnato il soprannome di “Psycho” per il suo modo di interpretare le partite. Pearce faceva l’elettricista mentre giocava tra i dilettanti e mantenne in famiglia l’attività quando diventò professionista. Dopo una partita dell’Inghilterra, di cui Pearce era diventato capitano, Clough scoprì un piccolo annuncio sulla brochure della gara del Forest: Stuart Pearce, elettricista. Un giorno si presentò in spogliatoio con una borsa e il programma: «Se Barbara chiama questo numero perché si è fulminata una lampadina non vieni tu, vero?». Quando Pearce spiegò che no, non sarebbe arrivato lui ma il fratello, Clough esclamò: «Ve l’avevo detto ragazzi, il nostro capitano è un fottuto impostore!». Ma il manager non aveva concluso il suo show. Dalla borsa tirò fuori un ferro da stiro: «Il ferro di Barbara si è rotto. Se non lo ripari entro la prossima partita, scordati di giocare sabato». Pochi giorni dopo l’attrezzo era sulla scrivania del boss, ovviamente funzionante.

Brian Clough, Stuart Pearce e Roy Keane scendono in campo per la finale di FA Cup
Brian Clough, Stuart Pearce e Roy Keane scendono in campo per la finale di FA Cup – da x.com/90sfootball

Gli ultimi anni di una leggenda

«I want no epitaphs of profound history and all that type of thing. I contributed – I would hope they would say that, and I would hope somebody liked me»

Gli ultimi anni di Brian Clough alla guida del Nottingham furono difficili per tanti motivi. Nonostante qualche risultato raggiunto, lo stato di forma del leggendario manager era sempre più precario e ormai in pochi potevano negarlo. Le gote rosse, la pelle rovinata, la parlata strascicata rivelavano troppo facilmente come l’alcool stesse prendendo il sopravvento. A rendere tutto più complicato fu la morte improvvisa di Peter Taylor nel 1990: la scomparsa del fratello a cui Cloughie non aveva più rivolto parola fu un colpo micidiale.

Il ritiro definitivo avvenne in un triste giorno di maggio del 1993. Triste non solo perché il manager in quel momento più longevo della Prima Divisione, ormai diventata la nuova scintillante Premier League, stava per lasciare; con quell’ultima gara, infatti, il Nottingham Forest avrebbe abbandonato la massima divisione. E negli occhi sempre vispi e calcolatori di Brian Clough scese un velo di tristezza che nessuno poté mai più sollevare.

Brian Clough all'ultima partita da manager del Nottingham Forest
Brian Clough all’ultima partita da manager del Nottingham Forest – da x.com/CloughandTaylor

Nessuno venne a sapere le difficoltà di salute di Cloughie fino a dieci anni dopo. Il figlio Nigel, attaccante come il padre che debuttò proprio sotto la sua guida al Forest, non disse mai nulla ai suoi compagni. Nel 2003 fu sottoposto a un trapianto urgente di fegato, spappolato da decenni di abuso di alcolici. Senza quell’intervento, secondo i medici, gli sarebbero rimaste poche settimane di vita.

E poi arrivò quel 20 settembre 2004. Quel tipico giorno d’autunno, almeno in Inghilterra, dai toni grigi, il vento sempre presente e quelle gocce d’acqua sottili e costantemente di traverso. In quel lunedì in cui, invece di parlare delle partite del weekend, tutti si trovarono a commentare sbalorditi la notizia della morte di Brian Clough. Se il fegato era stato salvato, lo stomaco aveva sviluppato un tumore inoperabile.

Così se ne è andato via uno degli ultimi grandi manager della First Division, del vero football all’inglese. Tanti ex giocatori ne portano il ricordo, non solo chi è stato allenato da lui. Chiunque abbia indossato degli scarpini tra gli anni ‘70 e ‘90 ha un ricordo di lui, un aneddoto particolare. Da grandi bomber come Alan Shearer e Gary Lineker fino ai terzi portieri dei campetti di periferia tra Derby e Nottingham. Cloughie ricevette anche l’approvazione del più grande di sempre ad aver giocato sull’isola, il primo, vero numero 7 del Manchester United: «Mi piace come manager, non sono troppo sicuro come persona, ma penso voglia giocare a calcio nel modo in cui andrebbe giocato», parola di George Best.

Ma per ricordarlo veramente non possiamo che rifarci alle indicazioni che lui stesso ha fornito. Semplici, pratiche, da poter ricordare in ogni situazione. Esattamente come quelle che dava ai suoi giocatori. «Non voglio epitaffi di immensa importanza, o di grande valore, e tutta quella roba lì. Io ho contribuito – Spero dicano questo di me, e spero di esser piaciuto a qualcuno».

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