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Grant Holt, un bomber di provincia all’assalto della Premier

10 ' di letturaC’era una volta, tanto tempo fa, il football del sabato pomeriggio. Quello delle serie inferiori, senza troppe pretese, genuino, sincero. Povero di soldi e fama, ma ricco di quell’intensità che rappresenta il motivo principale per cui amiamo il calcio inglese. Quello dove il difensore non pensa a impostare il gioco dal basso e creare possesso, ma se trova un pallone lo calcia via, e dove va va. Quello dove il mediano ha un solo ruolo, non far passare nessuno dalle sue parti, e se qualcuno ci prova volano calci e schiaffi. Quello dei giocatori di fascia che arano il campo su e giù, su e giù all’infinito, e non sono dribblomani in astinenza da doppio passo: quando arrivano nei pressi dell’area hanno solo un obiettivo, mandare la palla in mezzo.

E alla fine c’è lui, l’uomo che deve risolvere la partita. L’ariete che sfonda le difese. Non una seconda punta, né un trequartista con compiti prettamente offensivi che parte più avanti, e Dio ce ne scampi dai “falsi nueve”. L’attaccante delle serie inferiori, il prototipo di punta centrale con una sola missione in campo. Non è tecnicamente prodigioso, molto probabilmente non è neanche aggraziato, ma quando lo metti davanti la porta, e delle volte non sai manco come ci riesce, il pallone lo mette sempre dentro. Questa razza in via d’estinzione in Italia la chiamiamo, di solito, bomber di provincia.

Certamente, il football del sabato pomeriggio c’è sempre. Ma sappiamo tutti che un po’ di quell’autenticità l’ha persa. I giocatori più giovani crescono a pane e Youtube, i soldi che girano son di più. La personalità con cui si scende in campo è diversa, il modo di giocare si evolve. Probabilmente è un bene, ma la nostalgia qualche volta prende il sopravvento.

Ogni tanto però le vecchie divinità del calcio ci fanno un regalo. Portano alla ribalta uno di questi calciatori dal sapore arcaico e nostalgico, elevandolo ai piani più alti del football per regalarci momenti di felicità. Per ricordarci che sì, il mondo è cambiato. Ma c’è sempre spazio per un genuino ritorno alle origini. Per un football diverso, meno glam, poco chic. Ma tanto, tanto inglese.

Una carriera da bassa divisione, con qualche tappa strana

Grant Holt non è l’attaccante che ogni squadra di Premier League sogna. Infatti nel 2009 non ci è neanche lontanamente vicino. Invece è appena arrivato a Norwich, dove le Canaries sono arrivate terzultime nell’ultima stagione di Championship e dovranno ripartire dalla League One. Uno smacco per una città che solo cinque anni prima era riuscita faticosamente a issarsi di nuovo in Premier.

Holt conosce bene il calcio di divisione. È il suo pane quotidiano. Se il numero di squadre che hai cambiato è maggiore dei tuoi anni di carriera, beh, non è difficile capire che la tua vita non è quella di un protagonista del football patinato. Mentre il Norwich retrocedeva, questo ragazzone di Carlisle giocava addirittura in League Two con lo Shrewsbury Town, perdendo a Wembley la finale di playoff per la promozione. Ma non solo ha segnato venti gol, capocannoniere del torneo, è anche il giocatore che ha percorso più chilometri in tutto il campionato.

Strano per un bomber di provincia, direte voi. Ma quel ruolo a Grant Holt sta effettivamente un po’ stretto. Non tanti attaccanti di bassa serie inglese hanno giocato in posti strani, per esempio. Lui sì. Per la precisione passa un mese in prestito al Sorrento Football Club, che tutto è tranne che una squadra dello stupendo paese del golfo di Napoli, bensì una società semi-professionistica di base a Perth, Australia. E poi sempre nello stesso anno, durante l’estate del 2001, al Sengkang Marine Football Club di Singapore. Il club di provenienza, l’Halifax Town, proprio non doveva sapere di che farsene.

Così quando rientra in Inghilterra se ne va al Barrow, in Northern Premier League. Settimo gradino della scala del football inglese. Di lavoro gonfia le ruote in un’officina di Carlisle, per passione gioca a calcio. Fino alle soglie dei 24 anni nessun club professionistico vuole scommettere su di lui. Quanti ragazzi di un metro e 85 che fanno la punta esistono sui campi di Gran Bretagna… Eppure Holt persevera, anche se pensa spesso di mollare il sogno di essere un calciatore a tempo pieno. Finalmente, nel marzo 2003, qualcuno decide di puntare su di lui. Le Owls, il glorioso Sheffield Wednesday, lo ingaggia per pochi spiccioli in League One. Si fa però tanta panchina, entra spesso da sostituto e segna solo 3 reti. È di nuovo tempo di cambiare posto.

Va al Rochdale in League Two, due stagioni, poi viene scelto da un altro pezzo di storia del calcio come il Notthingham Forest, in quel momento in League One. Due anni tumultuosi, dove Holt litiga un po’ con tutti, un prestito senza lieto fine al Blackpool e poi arriva a Shrewsbury. Ormai ha 27 anni, si è fatto tanta gavetta anche in posti strani e ha imparato tanto. Perché magari non ha un talento enorme, non è un attaccante eccezionale anche se il cartellino lo timbra spesso, però ha voglia. Ha una tale voglia di salire di categoria che quei 20 gol valgono la chiamata del Norwich.

La svolta di Norwich

Grant Holt non è un talento sopraffino. Un po’ con la palla al piede ci devi saper fare per giocare in League One, ma sicuramente non è molto tecnico, né agilissimo. Di solito supera gli avversari di forza, prendendo la rincorsa da lontano e caricando l’area come un bufalo che per la prima volta è libero di scaricarsi nelle immense praterie americane. Se il suo incedere prende energia, i difensori se li scrolla di dosso. La porta la vede, segna un po’ come viene, ma è soprattutto di testa che spicca sugli avversari. Non tanto perché salta di più, ma è intelligente e di solito anticipa i movimenti di tutti.

Ecco, Holt è un tipo (quando vuole) veramente intelligente. Perché osserva, apprende e capisce cosa può includere nel suo repertorio. Così tutte le esperienze che ha fatto nella sua carriera girovaga hanno aggiunto un piccolo pezzetto di conoscenza al suo mondo. Per esempio ha imparato che a stare fermo ad aspettare il pallone non ci ricava nulla. Scende sulla trequarti a prender palla, proteggendosi meglio di un centrocampista col suo grosso fisico e creando spazio per i compagni. Ha capito poi che avere un buon tempo negli inserimenti scardina anche la difesa più arcigna. E se viene servito bene, un colpo di testa che parte da un terzo tempo è molto più forte e difficile da parare.

Ma soprattutto, Holt ha imparato a non aver paura di giocare. Ad avere sempre voglia di fare il meglio, per sé e per la squadra. Solo provandoci come un disperato puoi raggiungere i tuoi obiettivi. E lui, che per cercare di fare di questo gioco una professione è finito fino a Singapore, che ha fatto decine di provini prima di riuscire a convincere una delle due squadre di Sheffield, lo sa meglio di tutti gli altri. Lui si è guadagnato tutto quello che è riuscito a ottenere, e vuole ancor di più. Con quelle spalle larghe che si ritrova, non ha problemi a caricarsi tutta la squadra e trascinarla al suo volere. Tanto che ci vuole poco più di un mese a Paul Lambert, manager del Norwich, per accorgersi che l’unico plausibile capitano delle Canaries è proprio lui.

La stagione in League One è così trionfale. Dopo lo shock dell’esordio di campionato, un enciclopedico 7-1 subito dal Colchester, il Norwich City passeggia sulle rivali. Chiude con nove punti sulla seconda, mentre capitan Holt timbra 24 volte il cartellino. Nonostante sia retrocessa solo l’anno prima, tornare in Championship nello spazio di dodici mesi non è un risultato così standard. Ma il bello deve ancora venire.

Perché la stagione 2010-2011 vede una squadra che è passata dall’essere una delle migliori di League One avere il ruolo di neopromossa nella difficile Championship. Un salto da non prendere alla leggera, a meno che tu non faccia di nome Grant Holt. Che sembra abbracciare con gioia la maggiore competizione, sicuramente prova un gran piacere a dimostrare a tutti che un bomber di provincia può gabbare difensori anche di fascia più alta. I suoi movimenti, il suo colpo di testa perentorio, la sua avanzata potente e raffazzonata, condiscono un’annata in cui il Norwich convince, convince sempre più, fino a che alla conta finale ci sono 84 punti, il secondo posto in classifica e la promozione diretta in Premier League. Holt mette sul piatto 21 gol e soprattutto 14 assist, e se non sbocciasse contemporaneamente la stella di Adel Taarabt sarebbe anche il Player of the Year della Championship. Si deve accontentare, per il secondo anno di fila, del titolo di miglior giocatore della squadra.

Grant Holt alla conquista della Premier

Minuto 63 a Stamford Bridge. Il Chelsea ospita il neopromosso Norwich City ed è in vantaggio 1-0. Un cross innocuo dalla destra arriva sul limite dell’area. Ivanovic prova a respingere di testa, ma sta correndo all’indietro e riesce solo ad alzare un campanile. Ma il peggio è che ignora la chiamata del suo portiere Hilário che è partito in uscita e si infrange sul muro russo. Di fianco a Ivanovic, tra il centrale e il terzino Bosingwa, cerca spazio Grant Holt. Quando si accorge che i due del Chelsea l’hanno combinata grossa, si posiziona subito sotto il pallone che scende. Bosingwa rimane paralizzato nel vedere quel bomber di provincia un po’ sgraziato coordinarsi e colpire al volo spalle alla porta. Il gesto in sé non è bellissimo, la stazza glielo impedisce, e sembra impattare il pallone più con la tibia che col piede. Il risultato, però, è una dolce palombella che si insacca in porta. Il Norwich ha pareggiato, con la prima rete in campionato del suo capitano.

Grant Holt inizia la stagione da comprimario. Il bomber di provincia, esperto e furbo, che entra dalla panchina a cercare di salvare capre e cavoli per la neopromossa. Paul Lambert lo vuole usare come arma da fine partita, ma si accorge che non se lo può permettere. La sua presenza in campo è fondamentale per i meccanismi del Norwich. Così pian piano riconquista il suo posto da titolare, facendo ammattire la Premier League col suo fisico da stadio di terza divisione.

Il Merseyside in particolare diventa una delle sue riserve di caccia preferite. Alla nona giornata le Canaries sono ad Anfield per affrontare il Liverpool. La Kop intimorisce tutti gli avversari dei Reds, figurarsi i neopromossi. Chi non si scompone è capitan Holt, che entra al 57′ con la sua squadra sotto 1-0. Tempo tre minuti, e arriva un cross lungo e rapido dalla destra. Pepe Reina va in uscita, mentre Carragher e Johnson si preparano comunque a saltare. Indovinate un po’ cosa succede? Grant Holt anticipa tutti e tre e segna. Li fa sembrare tre giocatori di categoria inferiore, lenti e impacciati. Quelli pagati fiori di milioni vengono letti come un libricino di favole da quel bomber di provincia ipoteticamente senza cittadinanza in Premier.

L’Everton subità la legge di Holt sia all’andata che al ritorno. In quattro confronti con le squadre del Merseyside, il Norwich fa tre pareggi e una sola sconfitta, per giunta a Carrow Road. Il capitano segna contro l’Arsenal, contro il Manchester United, e guida la squadra nella partita forse migliore della stagione, la vittoria in trasferta contro il Tottenham. I conti di fine torneo sono stupefacenti. Il Norwich finisce alla casella numero 12, ben lontano dalle posizioni di fondo a cui sembrava destinato. Grant Holt chiude la sua prima, clamorosa stagione di Premier, a 29 anni suonati, con 15 gol e 2 assist. Vince per il terzo anno di fila il titolo di Player of the Season delle Canaries.

Ma potrebbe succedere qualcosa di ancora più incredibile. Perché Grant Holt è il secondo marcatore inglese del campionato, dietro Wayne Rooney che di centri ne ha ben 27, e quella stagione porta dritti agli Europei 2012. Nella penuria di attaccanti prolifici, per i Tre Leoni si apre uno scenario impossibile anche solo da immaginare fino all’anno precedente. Fabio Capello si presenta sempre più spesso dalle parti di Norwich per visionare Holt, ormai sembrano esserci tutte le carte in tavola per poterlo vedere con la maglia della Nazionale. Poi arriva l’ennesimo scandalo legato a John Terry, Don Fabio dà le dimissioni e Holt viene dimenticato. Come ricorderete, l’Inghilterra a Euro 2012 non riuscirà a superare i quarti, psicologicamente condannata dal cucchiaio di Andrea Pirlo a perdere la lotteria dei rigori.

Il ritorno alle origini di Grant Holt

La Premier League degli ultimi dieci anni è sempre meno adatta a questi bomber di provincia. Troppo glitterata, tatticamente evoluta, tecnicamente superiore. Grant Holt non sfugge a questo assioma. La stagione 2011-2012 è la migliore della sua carriera, un exploit che è naturale non si ripeta. Se poi ci si mette anche lui, decidendo prima di voler andar via e poi firmando un nuovo contratto, è chiaro che ne manchino anche le circostanze.

Dopo Norwich ci saranno il Wigan in Championship, i prestiti ad Aston Villa, Huddersfield Town e Wolverhampton. Nessuna di queste piazze riaccende la magia. Forse quella s’è persa del tutto, forse s’è solo spostata di casa. Infatti c’è un altro bomber cresciuto nelle serie inferiori che sta ora mettendo a ferro e fuoco le porte della Premier. Ha fatto un anno nelle giovanili dello Sheffield Wednesday, nel 2003, casualmente proprio l’anno in cui Holt vestiva la maglia delle Owls. Il suo nome è Jamie Vardy.

Per Grant Holt invece non c’è altra possibilità che un ritorno alle origini, alle divisioni inferiori che sono il suo habitat naturale. Di nuovo a Rochdale, poi un salto in Scozia per vestire un’altra maglia storica come quella dell’Hibernian (e vincere la Championship scozzese), infine l’ultima avventura da giocatore. In un’altra sua ex squadra, il Barrow, dove entra in campo sia come punta che come allenatore.

Già, perché uno con l’esperienza di Grant Holt è difficile da trovare. Con la sua voglia di imparare, con la sua capacità di costruire una carriera da una base dalla qualità non proprio eccelsa, con quell’intuito che gli ha fatto segnare reti su reti, dai campi di quinta serie ad Anfield Road. Allora dopo Barrow torna alla sua seconda casa, ovviamente a Norwich, per insegnare alla Academy. Poi, da vero attaccante di periferia, tra una lezione e l’altra non lesina sui vizi. Anzi decide anche di diventare per un paio di match un wrestler, così, giusto perché lo diverte. Arrivano in 4500 persone a vedere il suo show, tenuto ovviamente a Carrow Road.

Lì dove, nella Hall of Fame del Norwich City, c’è il suo faccione rubicondo bene in vista. Lì dove ha trovato la sua massima espressione calcistica. Dove ha gabbato anche i grandi increduli campioni della Premier League, fino ad arrivare alle soglie della Nazionale sfuggita poi per un soffio. Lì dove quel bomber di provincia, che a 24 anni ancora non era professionista, ha vissuto un sogno che in parte è quello di tutti noi.

LEGGI ANCHE: Norwich 1992-1994: gli anni d’oro dei canarini gialloverdi

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