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Daniele Padelli: ritratto perfetto di un secondo portiere cresciuto alla corte dei Reds

3 ' di letturadi Gabriele Cozzi

Da bambini ognuno di noi ha tirato un calcio ad un pallone, magari nella polvere dell’oratorio o su qualche prato spelacchiato di provincia: un paio di borse e uno zaino ed ecco improvvisati i pali di una porta. Tutti noi volevamo la maglia numero 10, quella del bomber, del fantasista o del giocatore più forte in circolazione in quel momento. Ma in una partita serve anche chi difende i pali, e quindi – puntualmente – qualcuno si doveva reinventare portiere suo malgrado. Un ruolo ingrato, che dai più piccoli è spesso mal digerito perché significa rimanere fuori dall’azione e dal fulcro del gioco. Lo sappiamo tutti, è così e sempre lo sarà. Perché, per fare il portiere, ci vuole una naturale inclinazione: è un dono di Madre Natura.

C’è un ruolo, tuttavia, ancora più oscuro di quello di chi va materialmente in campo a difendere la porta la domenica pomeriggio. È il ruolo del secondo portiere, figura mitologica che passa sempre – o quasi – ingiustamente in sordina. Sono personaggi che spesso non si vedono, ma che nello spogliatoio si sentono eccome. Gente che per il gruppo fa un lavoro preziosissimo, accettando spesso uno scomodo ruolo da comprimari.

Un ruolo di supporto. Un ruolo di grande caratura emotiva fondamentalmente sottovalutato rispetto a ciò che traspare, con giudizi spesso limitati agli sporadici utilizzi in campo. Ecco, per utilizzare un paragone pugilistico, il secondo portiere è lo sparring partner del primo. È un giocatore che deve farsi trovare pronto all’utilizzo “improvviso”, ma è anche un motivatore che deve sviluppare un feeling con il resto della squadra facendo da catalizzatore degli equilibri e da collante all’interno dello spogliatoio.

Se penso ad un portiere che ha perfettamente incarnato la figura del secondo, mi viene in mente Daniele Padelli da Lecco. Uno che dell’essenza occulta del ruolo, del lavoro sporco per il gruppo e per la squadra, ha fatto il suo mestiere.

E sapete dove Daniele si è fatto le ossa, lasciandoci peraltro un pezzo di cuore? In Terra d’Albione, ovviamente. È proprio tra le mura di Anfield che Padelli ha imparato a muoversi su quella delicata linea che si trova a percorrere quotidianamente ogni secondo portiere che si rispetti.

Per carità, queste sono caratteristiche che Daniele ha senz’altro affinato altrove negli anni, vivendo una carriera professionale che – a parte la felice parentesi torinese – si è sviluppata principalmente da secondo portiere. Ma il punto di partenza – e lui ci tiene a sottolinearlo – è stata proprio la corte dei Reds, dove ha condiviso lo spogliatoio con il leggendario Dudek e con un giovanissimo Pepe Reina.

Daniele, qualche anno dopo, racconterà che quella breve parentesi è stata fondamentale per la sua crescita umana e professionale. La possibilità di confrontarsi con giocatori come Gerrard o Carragher non capita tutti i giorni e, a suo dire, neppure ambientarsi nella fredda Liverpool è stato troppo difficile.

Anno 2007, quello era il Liverpool di Rafa Benitez: una squadra brillante che quell’anno lottò a lungo per vincere la Premier League dopo un digiuno che è durato fino a pochi giorni fa ma che, alla fine, si dovette accontentare del terzo posto. Una squadra che raggiunse anche la finale di Champions League, arrendendosi in finale contro il Milan in quello che fu il replay della drammatica serata di Istanbul di due anni prima.

È vero, in Inghilterra Padelli è rimasto appena sei mesi e non ha avuto particolare fortuna, ma le emozioni sono state tante: nell’ultima partita di campionato contro il Charlton, il 13 maggio 2007, venne mandato in campo da Benitez come portiere titolare. In quell’occasione ha avuto modo di sentire tutto il leggendario calore della Kop, ha potuto vivere da protagonista il calore di “You’ll Never Walk Alone” nella partita che rappresentava il commiato annuale della squadra dai propri tifosi. Il risultato non contava niente, ma le emozioni provate furono indescrivibili, con un giro d’onore al termine della gara per salutare il pubblico di un Anfield tutto esaurito sulle note della leggendaria canzone dei tifosi Reds.

In quella partita, poi, l’emozione fu doppia: era l’ultima di Robbie Fowler con la maglia del Liverpool. Salutava uno dei più forti attaccanti inglesi di sempre, un simbolo del mondo Reds e di un’intera “generazione di fenomeni”. Una leggenda che diceva addio alla sua gente e che, giustamente, a due minuti dalla fine venne sostituito per godere del caloroso tributo di 50.000 persone che batterono all’unisono le mani per lui.

Ecco, Daniele Padelli ha vissuto tutto questo. Di quell’esperienza non si porta dietro soltanto emozioni, ma anche insegnamenti, consigli e una visione del calcio diversa e trasversale.

Attenzione, però, perché non è finita qui. Nessuno ne parla, ma c’è anche un piccolo ma significativo record che nessuno gli toglierà mai: Padelli è stato, infatti, il primo giocatore italiano a vestire e scendere in campo con la maglia dei Reds. Solo dopo verranno i vari Aquilani, Dossena, Borini e Balotelli.

Certo i più attenti si ricorderanno del buon Gabriel Paletta, giunto a Liverpool un anno prima di Padelli. Ma non fatevi ingannare…perché Paletta ha ottenuto la cittadinanza italiana solo nel 2014!

 

 

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