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The Lord’s My Shepherd… we are Albion!

La storia di uno dei club più iconici del calcio britannico: il West Bromwich Albion

11 ' di letturaLe luci dell’espresso proveniente da Londra squarciano l’oscurità della sera. Sei vagoni di prima e seconda classe marchiati dallo stemma reale. È il treno della regina Vittoria diretto verso la Scozia. I finestrini rigidamente chiusi. La regina pare non gradisse troppo gli odori di questa parte d’Inghilterra, a causa di una densa fuliggine nera che ricopriva l’intera area. Il luogo? La Black Country: una delle zone più inquinate del paese, divisa fra l’area di Birmingham e Wolverhampton. Orgoglio e vanto dell’industria britannica con le sue miniere di carbone e i centri siderurgici.Oggi le miniere sono in disuso e dell’Inghilterra Vittoriana resta solo un concetto artistico-letterario con un particolare invariato che non sfugge, ovvero il senso di comunità presente fra la popolazione. Qui la schiettezza e l’approccio diretto della “working class” è ancora ben presente e si nota non solo nel carattere ma anche nel dialetto, diverso da quello delle zone circostanti. Per i “fighetti” insomma è consigliabile girare alla larga. E il West Bromwich Albion non poteva che nascere qui, dove il verbo del calcio si fa duro e pulsante come in pochi altri posti al mondo. D’altra parte la scorza ruvida non si può rinnegare. Nemmeno nel gioco.

Immaginiamola allora la West Bromwich di fine ‘800. Non quella fervente delle ciminiere fumanti: piuttosto quella radunata nei pub, nel dopolavoro, impegnata in scommesse poco raffinate. Dietro ai locali, in arene improvvisate. Qualche pound in palio per la vittoria del proprio gallo da combattimento. Fra pinte di birra e urla rauche. Inutile storcere il naso. Qui le leggi che vietavano queste pratiche non funzionavano troppo, figuriamoci i moralisti. Erano tempi duri, e quando la stagione del cricket volgeva al termine bisognava pur trovare un passatempo per trascorrere i lunghi mesi invernali. Poi la svolta. Qualcuno incomincia a parlare di calcio. Prima durante la pausa mensa, poi all’uscita dal lavoro, riuniti in animati capannelli. Berretto in testa, e giacche sporche, sotto lampioni a petrolio, sferzati da un vento caparbio. Alcuni dei più giovani avevano visto un paio di partite e ciò bastava, occorreva solo una cosa fondamentale: la palla. A West Bromwich non esistevano in quel periodo negozi di articoli sportivi. Non importa. Ce n’era uno a Wednesbury. Una passeggiata di salute verso il primo rivenditore. Fu così che un gruppo di lavoratori della George Saleter’s Spring Work, una fabbrica specializzata nella costruzione di utensili da cucina, il 20 settembre 1878 si reca sul posto è acquista la sacra sfera. La passeggiata non porterà loro solo l’ambita palla, ma anche il nome: West Bromwich Strollers.Ma qui il concetto di appartenenza non è aria fritta. Un anno dopo la prima partita, giocata contro i dipendenti di un’azienda denominata “Hudson” e terminata 0-0, adottano il suffisso “Albion” al posto di Strollers. Un richiamo al distretto dove abitava la maggior parte dei lavoratori della George Salter’s. E se si guarda al mero ambito denominativo, ecco che il sodalizio diventa la prima realtà calcistica a utilizzare il nome “Albion”. Tuttavia quello del nome non sarà il problema principale. Occorreva trovare un luogo adatto e soprattutto definitivo per continuare a giocare. Dartmouth Park, Coopers Hill, e Bunn’s Feld i primi terreni scelti per ospitare le partite, ma sinceramente il club ha frequentato parchi e piazzole in tutta West Bromwich, Smethwich e nella già citata Wednesbury. Nel 1882 invece arriva il contatto con la “Birmingham & District Football Association”. E arrivano i primi titoli dei giornali. Il WBA incominciava la sua vera storia con tanto di magliette gialle e bianche, decorate con il nodo dello Staffordshire.Si lo so cosa state pensando, ma i primi anni di vita della squadra guidata dal segretario Tom Smith sono contrassegnati da un’ampia gamma di tonalità diverse, almeno fino al 1885 quando si deciderà di indossare quelle strisce biancoblu a noi sicuramente più familiari. Intanto ci si trasferisce sul campo di Stoney Lane, dove il WBA diventa un club professionistico raggiungendo tre finali di FA Cup consecutive. La prima volta nel 1886 sconfitti dopo un replay dal Blackburn Rovers, l’anno successivo battuti dall’Astonvilla per 2-0, e infine nel 1888 quando al Kennington Oval invece arriva la prima soddisfazione strappando la coppa al quotatissimo Preston North End. Sono gli anni della nascita della Federazione inglese e di ulteriori successi, come quello ancora in FA Cup contro l’Aston Villa nel 1892. A questo punto serve chiarire un punto. Anzi due. The Hawthorns e Baggies. Nel 1900 l’impianto di Stoney Lane era uno dei peggiori della prima divisione, tanto che le presenze si erano drasticamente ridotte ponendo il club di fronte a una possibile crisi finanziaria. Occorreva trovare una soluzione alternativa a maggior ragione considerando che il contratto di locazione stava scadendo. La scelta migliore risultò essere un terreno di 10 acri leggermente fuori città in un’area ricoperta da cespugli di biancospino. Traduzione letterale, The Hawthorns.Diventerà la sede storica del club. Una volta aperto, lo stadio poteva contenere circa 35.000 spettatori. Il primo impianto inaugurato dall’inizio dell’secolo, che aprì i battenti lunedi 3 settembre 1900, quando l’Albion pareggiò 1-1 con il Derby County di fronte a una folla di 20.104 presenti. Il nazionale inglese Steve Bloomer segnò il primo gol nel nuovo impianto per i bianchi di Derby, con Chippy Simmons pronto però a ristabilire la parità per i padroni di casa allenati da Frank Heaven. Quello del biancospino è un aspetto peculiare non solo per il campo da gioco ma anche per il crest societario. Si racconta che la squadra frequentasse un locale dove era tenuto in gabbia un tordo, un uccello canoro di piccole dimensioni. Fu scelto come stemma ufficiale della squadra, e ovviamente dopo l’acquisizione di The Hawthorns, fu fatto poggiare su un ramo dell’arbusto dai fiori bianco rosati. Non mi sono dimenticato di “Baggies”. Origine incerta. Se ci vogliamo aggrappare alla teoria più in voga, sembra che il termine prenda spunto dai larghi pantaloni (baggy trouser) che gli operai delle fonderie usavano per proteggersi dai lapilli di ferro incandescente scaturiti dalla lavorazione di questo materiale. Ma il dibattito resta aperto. E quindi per par condicio è giusto fornire un accenno anche alla teoria che sostiene l’etimologia del soprannome legata ai custodi dei due ingressi originari di The Hawthorns, che al termine delle partite scortati da due poliziotti, trasportavano agli uffici del club l’incasso del match dentro sacchetti di tela di grandi dimensioni.

Purtroppo la prima stagione nel nuovo stadio non fu particolarmente fortunata e il WBA retrocesse inaspettatamente in seconda divisione. E’ il periodo di Jessie Pennington detto Peerless, un ragazzone dagli occhi profondi che giocava come terzino sinistro e che è entrato di diritto nella storia dell’WBA per aver raccolto quasi 500 presenze fra il 1903 e il 1922. A dirla tutta sventò anche una truffa organizzata da un certo William Bioletti di mestiere “scommettitore” che provò a corrompere Pennington per cercare di far vincere l’Everton nella partita del 29 settembre 1913. Sette anni dopo Jessie si sarebbe anche laureato campione d’Inghilterra con i Baggies, un evento finora unico, contrassegnato dai 37 centri del bomber Fred Morris. Nella stagione 1930/31 il club conquista un double particolare: vittoria in FA Cup contro il Birmingham City e promozione nella massima serie. Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1937 si annota per gli archivi la presenza di un pubblico record al The Hawthorns con la presenza di 64.815 spettatori in una partita di coppa contro i londinesi dell’Arsenal.A questo punto facciamo un salto temporale. Saltiamo direttamente alla stagione 1953/’54, una delle migliori nella storia degli Albions. Un anno dove solo per un soffio la squadra non riuscirà nella doppietta coppa-campionato. Un’annata giocata a ritmo frenetico, con una lunga striscia d’imbattibilità comprendente ben 9 vittorie consecutive tra cui un clamoroso 7-3 a casa del Newcastle, bloccata solo il 19 settembre con una inopinata sconfitta interna subita dal Charlton Athletic. Fino a Pasqua i Baggies resteranno in testa alla classifica, forti di campioni di pregio come Ray Barlow, Ronnie Allen, Johnny Nicholls e le due velocissime ali Frank Griffin e George Lee. Ma il doppio impegno frena le ambizioni dell’WBA che cedono il passo al Wolverhampton e dovranno concentrare gli sforzi solo sul più importante trofeo domestico. A Wembley di fronte trovano il sempre glorioso PNE. Dopo venti minuti la squadra di Vic Buckingham passa in passaggio, ma Morrison riporta subito in parità i lilywhithes e quando Wayman segna dopo cinque minuti dall’inizio della ripresa la partita sembrava irrimediabilmente persa. Inaspettatamente però Paul Docherty atterra in area Ray Barlow, e Ronnie Allen sigla il 2-2. L’equilibrio instabile dei tempi supplementari è rotto a due minuti dal termine, quando la rete di Franck Griffin riporta la coppa d’argento nelle Midlands. Un successo che spinse un quotidiano nazionale a suggerire che questa squadra dovesse essere scelta in blocco per rappresentare l’Inghilterra ai mondiali svizzeri del 1954.Adesso bisogna incominciare a camminare in punta di piedi, perché il decennio degli anni sessanta sarà uno dei periodi più fertili e famosi del club. E se esiste un giocatore che ha incarnato benissimo lo spirito di questa terra, il perfetto assioma fra Black Country e calcio inglese, quello è senza dubbio Tony Brown. Antony all’anagrafe di Oldham, dove nasce nell’ottobre del 1942. Introverso e gran lavoratore, deve convivere con una particolare forma d’asma. Non il massimo per chi è costretto a respirare nella cintura urbana, grigia e umida di Manchester. Ma a quattordici anni, quando ancora non ha sviluppato i suoi baffi da pirata dei sette mari, i consulti medici lo incoraggiano e lo indirizzano verso l’attività sportiva. E il problema tende rapidamente a scomparire. Nelle formazioni giovanili scolastiche si guadagna l’attenzione dei maggiori club del circondario, prima di tutti quelle del Manchester City.

 

Ma lui a differenza di Jimmy Grimble, tifa per l’altra squadra della città, lo United, e decide di prendere la strada verso Old Trafford. Il palcoscenico dell’immenso teatro che gli si para innanzi, è calcato da troppe stelle, Tony non riuscirà a inserirsi bene, e allora arriva il provino con il WBA. Un incontro fortunato e decisivo per entrambi. Nascerà un amore assolutamente ricambiato a livello umano, mentre dal lato prettamente tecnico nascerà una mezzala agile ed estremamente prolifica, che dal dischetto si dimostra un’autentica sentenza. Spettacolare il goal messo a segno in una partita persa contro lo Sheffield Wednesday in FA Cup, quando da 35 metri gira al volo alle spalle del portiere della nazionale inglese Ron Springett. Meno bello ma sicuramente più pesante quello infilato alla squadra della sua città, l’Oldham, che varrà la promozione dei Baggies in First Division nel 1976. Stiamo correndo troppo. Ci stiamo dimenticando di lui.

Del Re. Di Jeff Astle. Meglio conosciuto come Jeff “the King” Astle. Nato a Eastwood, nel Nottinghamshire, nel bel mezzo delle Midlands. Nella stessa strada nativa di un grande personaggio della cultura Inglese, il poeta DH Lawrence, un romanziere vigoroso e originale, che rispecchiò efficacemente la rivolta della sua generazione contro l’epoca vittoriana, e non a torto considerato profeta e mistico del sesso con quasi mezzo secolo di anticipo sui figli dei fiori. Il destino che gli ha voluti accomunare di vicini natali, non poteva evitare che il goal più importante della carriera di Jeff Astle venga messo a segno proprio nel 1968. Proprio quando gli embrioni delle idee di Lawrence iniziano a prendere forma compiuta. Astle in quel 1968 diventerà il primo giocatore a segnare un goal in ciascun turno di FA Cup. Dentatura da castoro e aplomb da personaggio da commedia britannica, diventa un calciatore professionista nel 1959, all’età di 17 anni, quando firma un contratto con il Notts County.Un classico centravanti Inglese dei suoi tempi, che apprende molto da quello che in molti reputano la sua musa d’ispirazione giovanile ovvero Tommy Lawton. Una carriera trascorsa fra Everton, Chelsea, Arsenal, e Notts County. Nel 1964 Astle passa per 25,000 sterline al West Bromwich Albion. Sarà l’ingresso nella galleria aurea della leggenda, e non solo per il suo record di realizzazioni nella FA Cup del 1968. Alla fine della carriera saranno 137 le reti messe a segno da “The King” in 292 partite giocate. Certo che quella rete segnata all’Everton nel corso del terzo minuto del primo tempo supplementare della finale di FA Cup del 1968 è stata senza dubbio la più importante della sua carriera, non solo perché ha sancito il record di cui dicevamo sopra, ma anche perché con quella rete il West Bromwich Albion vinse quello che ad oggi è l’ultimo alloro di cui può vantarsi il club delle West Midlands.

Un colpo da biliardo dopo una prima ribattuta, che indirizza la palla color ocra nell’angolino alto della porta difesa dall’estremo difensore dei Toffes. Poche ore dopo il trionfo di Wembley sul ponte che attraversa un canale a Netherton, su Cradley Road, nel cuore della Black Country compare la scritta a caratteri cubitali “ASTLE IS THE KING”. Il ponte perde per volontà popolare il suo tradizionale nome, Primrose Bridge, per divenire per tutti Astle Bridge. Nemmeno le ferree autorità locali riuscirono a ristabilire l’ordine toponomastico del luogo perché quando decisero di cancellare la scritta, questa torno a far bella mostra nel giro di poche ore. Due anni dopo nel 1970 Jeff Astle rafforza il suo rapporto d’amore con i tifosi segnando di nuovo a Wembley nel corso della finale di League Cup contro il Manchester City. Una rete che non eviterà la sconfitta, ma che gli permetterà di diventare il primo calciatore a segnare all’Empire Stadium in entrambe le finali delle Coppe nazionali. In ogni caso Astle il marchio sulla League Cup lo aveva già messo nel 1966, ma allora la finale si disputava con la formula andata e ritorno, e la rete la mise a segno al Boylen Ground nel 1970, quando il West Brom si aggiudicò la competizione battendo il West Ham 5-3 “on aggregate”. Potter, Cram, Fairfax, Fraser Campbell, Williams, Brown, Astle, Kaye, Lovett, Clark. Manager, Jimmy Hagan. Probabilmente ad Astle è mancato solo il titolo della First Division, della quale comunque è stato capocannoniere nella stagione 1969-70 con 25 reti segnate. Nel programma Football Fantasy League, il 19 gennaio del 2002 Jeff Astle ebbe un malore mentre si trovava a casa della figlia. Il rapido trasporto al vicino ospedale di Burton on Trent fu vano e così a soli 59 anni “Il Re” lasciava questo mondo per salire le scale dell’Olimpo dei grandi.Il giorno dopo la sua scomparsa a The Hawthorns era il pomeriggio del derby contro il Walsall, deciso da una rete di Jason Roberts, (nipote di Cyrille Regis un’altra leggenda dei Baggies) che sollevandosi la maglia bianco-blu, mostrò al suo pubblico una t-shirt con l’immagine di Astle. Anche nella morte Jeff Astle ha segnato un record, purtroppo meno invidiabile degli altri. A lui fu riconosciuta la morte “per causa di servizio”, in inglese “death by industrial injury”. In pratica il coroner disse che Astle aveva subito dei micro-traumi al cervello, dovuti ai frequenti impatti della testa con la palla. I palloni chiaramente non erano fabbricati con i materiali odierni e soprattutto, quando erano impregnati di acqua e fango pesavano molto più del normale. Lacrime. Una disgrazia quasi paradossale. Ma aspettate, non piove più, si alza un coro che rompe il silenzio e la commozione: “Astle is the king, Astle is the king, the Brummie Roaders sing this song, Astle is the king”: E’ l’11 luglio 2003, e a The Hawthorns hanno dedicato al loro grande eroe l’ingresso del nuovo East Stand, una lunga cancellata ricoperta di sciarpe e fiori denominata Astle Gate. I cancelli della memoria.

Negli anni settanta durante il regno di Don Howe il WBA retrocede mestamente in seconda divisione, tornando fra i grandi solo nel 1976 guidati in panchina dal player manager Johnny Giles. Impossibile non ricordare che nel 1974 fa il suo esordio nel WBA Bryan Robson, “Captain Marvel”, con molta probabilità il miglior giocatore inglese degli anni ’80. Leader carismatico, grande trascinatore, un giocatore di impareggiabile impegno e determinazione dotato di buona tecnica. Devastante quando portava il pressing, così come, quando sfruttando il suo piede dolce lanciava i compagni con passaggi sontuosi. “Robbo”, un formidabile “ruba palloni”. Nei suoi confronti si usava spesso questa frase: “C’mon Robbo, win it for us”, che letteralmente vuol dire: “Vai Robbo, vinci per noi!”. Con I Baggies segnerà quaranta reti in sette anni. Lì lascerà nel 1981 per approdare in un mediocre Manchester United, per una cifra vicina ai 2,7 milioni di sterline. Sono gli anni degli ultimi squilli di gloria. Nel 1978 Big Ron Atkinson raggiunge le semifinali di FA Cup, ma dove il frizzante Ipswich Town di Bobby Robson estromette i baggies dalla finale.Lo stesso traguardo conquistato nel 1982 da Ronnie Allen. Poi un lento inesorabile declino con effimeri successi e qualche presenza a Wembley per i playoff di categoria. E se Robson sognasse un degno erede nel cuore del centrocampo forse potrebbe rivedersi per qualche misura in Graham Dorrans, che Tony Mombray portò a West Bromwich nel 2008. Un ragazzo di Glasgow, composto, creativo, combattivo e coerente. Che, guidato da Roberto di Matteo conquista la Premier League. Ma vedete come corre il tempo, siamo già ai giorni nostri e francamente l’insostenibile pesantezza del calcio moderno, mi aliena a tal punto che perdo ogni sorta di vena letteraria. The Lord’s My Shepherd… we are Albion!

 

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