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Ogni volta che ruggiva il leone: guerre e battaglie dell’irlandese più odiato d’Inghilterra

4 ' di letturaBrutale, violento e vendicativo. Leale con i compagni e spietato con gli avversari. Roy Keane è stato il cuore pulsante del Manchester United di Ferguson. Anima e corpo di una delle squadre più forti di sempre, lo hanno odiato e temuto tutti coloro che non tifavano per i Red Devils. Uomo e giocatore controverso, chiacchierato, al limite della psicopatia, paranoico e pronto ad uccidere come un leone affamato.

Eppure, nonostante tutto, io l’amavo. Per me – che all’epoca ero un adolescente in guerra con il mondo – era il fratello maggiore che non ho mai avuto. Il suo era un modo di intendere il calcio, e quindi la vita, in cui molto romanticamente mi identificavo. Roy rappresentava il guerriero – severo e duro – che affrontava ogni lotta con quel piglio maschio che richiede questa difficile esistenza. Esistenza, si. Perché, più che di campo, qui si parla di vita. Keane – molto semplicemente – alzava il livello dello scontro perché questo approccio, per lui, diventava una necessità esistenziale ed ontologica. Per difendere al meglio la maglia e sé stesso, c’era sempre bisogno di un nemico da battere ed abbattere. E di nemici, appunto, ne ha sconfitti molti. Qualche volta ha anche perso, ed è giusto ricordarlo. Ma tante, tantissime, sono state le sue leggendarie guerre. Forse, senza quelle, non sarebbe neppure diventato Roy Keane.

Il 16 sulle spalle poteva indurre in tentazione. Sui campi di provincia è infatti un numero che, di solito, sta sulla maglia di chi non brilla per tecnica e fantasia. È il numero di quello che subentra a dieci minuti dal fischio finale, un numero che immediatamente ti porta a pensare: “Questo sa solamente picchiare”. E invece no, Keane non era un fabbro del pallone. Per sfatare questo luogo comune andate a vedere le carrellate di gol segnati con bordate da fuori, dei veri e propri siluri. Ancora, date un’occhiata ai suoi inserimenti velenosi, e poi ci fate sapere. Vi accorgerete che Keane era tatticamente molto intelligente ed aveva anche una buona tecnica, benché inferiore a quella di Beckham, Giggs e Scholes, suoi storici compagni di reparto.

Ma Roy, per noi tutti, era soprattutto il diavolo che portava alto il vessillo rosso degli uomini di Sir Alex. Era il cavaliere oscuro che i nemici dovevano temere. Il capitano senza paura che doveva incutere timore dimostrando al mondo le palle quadrate dei ragazzi di Manchester. Era un passionale, un violento che viveva sbattendo in faccia agli avversari la sua rabbia ancestrale ed intestina. Però ha vinto tutto, Keane. Ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Contro i nemici di campo, alla fine della guerra, ha sempre avuto ragione lui. Per la vittoria era disposto ad uccidere e, calcisticamente parlando, lo ha anche fatto. Basti pensare a quel fallo criminale su Haaland, costretto ad abbandonare per sempre il calcio giocato. Vendicativo, spietato e crudele, ecco cosa poteva essere Keane.

Basti pensare, ancora, alle titaniche lotte con Vieira. Anche il francese era un guerriero granitico, ma un episodio la dice lunga su chi fosse davvero disposto ad andare all in durante gli scontri di campo. Ettore contro Achille, per fare un paragone mitologico. Si gioca Arsenal-Manchester United e la tensione, come al solito, si taglia con il coltello. Poco fuori dall’area di rigore dei Gunners nasce un parapiglia e la maggior parte dei giocatori di entrambe le squadre si precipitano a bloccare Keane e Stam, un altro tipetto poco pacifico. Qualcuno, misericordioso e altruista, allontana Vieira come si usa fare quando il destino di una rissa è già inevitabilmente segnato: “Patrick stai buono, sei un duro ma stavolta hai incrociato qualcuno di veramente pazzo”. Keane era così, quando sentiva l’odore del sangue era disposto ad uccidere. E proprio Vieira, poco tempo fa, ha riconosciuto tutto lo spessore dell’avversario. Grande giocatore, grande capitano e grandi battaglie. Si renda l’onore al nemico di un tempo, dunque.

C’era solo un modo per battere Keane, e ce l’ha insegnato in mondovisione un altro grandissimo capitano, Alan Shearer. Uno degli uomini più intelligenti che hanno calcato i campi d’Inghilterra. Il numero 9 del Newcastle ha usato le armi giuste, e con astuzia ha vinto una battaglia. Come sconfiggere l’irlandese? Provocandolo, facendogli perdere le staffe. E infatti dito puntato, schiaffo di rito ed espulsione diretta. Roy c’è cascato, i nervi lo hanno tradito. Shearer, d’esperienza, lo ha volutamente trascinato in un terreno melmoso. Ma anche in questo caso, alla fine, l’avversario ha ammesso tutte le qualità di Keane. A bocce ferme, anni dopo, lo storico centravanti dei Tre Leoni ha riconosciuto le immense doti da leader e da guerriero del centrocampista di Cork. La guerra, anche stavolta, è vinta.

Perché diventa perfino inutile dirlo: quando Roy Keane ruggiva, tutti avevano paura. Ha vinto ogni guerra, tranne quella contro i suoi demoni. Per quella no, non ci sono partite, scontri e falli duri che tengano.

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Giovanni Mastria
Nato a Lucca, classe 1991. Scrivo con passione di cultura, attualità, cronaca e sport e, nella vita di tutti i giorni, faccio l’Avvocato.

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