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giovedì 28 Marzo 2024
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Metti Roberto Baggio all’Arsenal e immagina cosa avrebbe potuto fare

3 ' di letturaQuando Peter Hill – Wood alza la cornetta, il cavo che percorre il braccio di mare in fondo alla Manica si prepara a condurre parole che potrebbe stravolgere il destino della Premier League. Dall’altro lato il telefono viene sollevato da un altro presidente: Giuseppe Frascara Gazzoni. Il colloquio è amicale, spontaneo. Perché il tycoon al comando dell’Arsenal chiama il Bologna? Che intenzioni hanno i Gunners, freschi detentori del titolo e della FA Cup, nell’estate del 1998?

La risposta è quanto mai ovvia, se si scorre la rosa dei felsinei. Hill – Wood vuole il pezzo pregiato. L’eroe nazionale. Già accarezza l’idea di vederlo disegnare impossibili traiettorie calcistiche in quella cattedrale che è Highbury. In poche parole, Hill – Wood vuole che Roberto Baggio si trasferisca all’Arsenal.

Roby con la maglia del Bologna

Nella stagione precedente l’ormai ex Divin Codino – sì, ha deciso di reciderlo proprio a Bologna – ha fatto scintille. Essendo consapevole che si sta giocando una maglia per Francia ’98, decide di trasferirsi in rossoblu per giocarsi le sue carte da titolare. Inviso a mister Renzo Ulivieri – Baggio lo attaccherà duramente nella sua biografia, accusandolo di essere invidioso della sua fama e delle sue qualità – Roby riesce comunque a cesellare una stagione atomica: 22 gol, un record per lui, ed un’infinità di assist.

Abbastanza per catalizzare su di sé i fari alogeni del glorioso club londinese. L’offerta sarebbe anche di quelle prepotenti: contratto triennale per 6 milioni di sterline a stagione. Baggio vacilla solo leggermente, ma in cuor suo sa che non vuole abbandonare la Serie A. Gazzoni lo dice chiaro a Hill – Wood: “Guarda che al 99,9 per cento ci lascia, ma per andare all’Inter“. E così vanno le cose.

Resta, in mezzo a tutto questo, il rimpianto di non aver potuto saggiare le abbacinanti doti di un campione fuori dallo spazio e dal tempo anche in Premier League. Certo, in quegli anni il campionato italiano custodiva ancora intatto il primo posto sul podio: i campioni sceglievano di giocare in Italia. La vera sfida si consumava sui campi del Belpaese.

In quella stagione l’Arsenal di Wenger – già orfano di Ian Wright – proverà a consolarsi ingaggiando un certo Freddie Ljungberg, insieme al non indimenticabile Nelson Vivas. L’annata sarà amara: il double di un anno prima verrà eroso e frantumato dalla prepotente ascesa del Manchester Utd, che vincerà il titolo all’ultima giornata, con un solo punto di vantaggio sui biancorossi. In Champions le cose andranno addirittura peggio: sbattuti fuori nella fase a gironi.

E Roby? Bé, certo la sua esperienza all’Inter non potrà dirsi epica, complice una serie di problemi alle ginocchia, una concorrenza surreale (Ronaldo, Zamorano, Djorkaeff) ed i soliti problemi con i mister di turno. Ma la classe, quella racchiusa in movenze innate, ancestrali, resta.

Così come un dubbio che rimmarrà inestricabile: come se la sarebbe cavata infilato in un calcio così fisico e ritmico? Considerando quello che hanno saputo fare fantasisti eccelsi come Benny Carbone, “The magic box” Zola e Di Canio – stelle luminose, ma pur sempre irrise dal bagliore accecante della supernova Roby – verrebbe da dire benissimo. Quell’Arsenal, peraltro, era una squadra sui generis per la Premier: classe, fantasia, lucido ragionamento. Altro che palla lunga e speriamo in qualche santo.

Quella domanda, però, continuerà a rimbalzarci in testa a lungo: metti Roberto Baggio all’Arsenal. E immagina cosa avrebbe potuto fare.

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Paolo Lazzari
Paolo Lazzari
Giornalista

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