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Mark Schwarzer, l’uomo dell’ultimo minuto. Una vita al Boro a guardia di una fede e quel record ancora intatto.

Il viaggio dell'australiano divenuto simbolo nel North Yorkshire. Tra sofferenze, primati personali e trofei.

7 ' di letturaMark Schwarzer è l’unico membro “non-british” a far parte di un club davvero esclusivo come quello dei calciatori con più di 500 presenze nel campionato di Sua Maestà. Il gigante Australiano ha trascorso due decadi a guardia delle porte in Terra d’Albione, ergendosi ad ultimo ed imprescindibile baluardo pressoché ovunque abbia indossato i suoi guantoni.

Nato nella vibrante Sidney di metà anni ’70 da due genitori tedeschi, il giovane Mark inizia a fare i primi passi nel mondo del pallone nel team locale dei Colo Cougars. Ben presto gli addetti ai lavori si rendono conto delle sue doti, specialmente in un panorama calcistico povero di talenti come quello australiano, il che significa un’unica cosa: la chiamata al professionismo. A diciannove anni firma con i Marconi Stallions, club della massima serie australiana. Le ottime prestazioni si propagano come un’eco inafferrabile, giungendo persino nel continente europeo, in quella Germania che fu terra natia dei genitori, foriera dei duri lineamenti scolpiti sul volto del portierino. Il telefono squilla, dall’altro capo c’è la Dinamo Dresda. E che fai non salti sul treno della vita? Neanche a dirlo, il giorno dopo Schwarzer è già sul volo per la Bundesliga. 

Tuttavia l’impatto col calcio tedesco non è semplice come sperato. Schwarzer paga la lontananza da casa e dalle abitudini e, complice anche la giovane età, il rendimento si attesta ben al di sotto delle aspettative. In due stagioni colleziona appena 7 presenze tra Dinamo Dresda e Kaiserslautern. È un momento duro, in cui tutti i sogni sembrano svanire: sei un aitante ventenne e dovresti avere la forza di rialzarti, talvolta però la paura di non farcela rischia di prendere il sopravvento e mandare tutto all’aria. L’intelletto è il nostro grande marchio distintivo, ma la mente la più grande arma a doppio taglio, creatrice e distruttrice spietata, impavida. Ed è proprio quando un turbinio di pensieri negativi frullano per la testa di Mark che entra in scena in maniera provvidenziale Chris Kamara, oggi noto come opinionista su Sky Sport, ma all’epoca allenatore del Bradford City.

Kamara è convinto che quel ragazzone australiano sia la pedina giusta da schierare tra i pali dei Bantams. A Schwarzer bastano appena 13 presenze per impressionare l’ambiente inglese ed iniziare a far parlare di sé, a tal punto che i Bantams non possono far nulla per trattenerlo dinanzi alle avances di squadre di livello superiore, trovandosi invischiati in una strenua battaglia per non retrocedere in League One, che avrebbero vinto soltanto all’ultimo respiro. La sconfitta interna contro lo Sheffield Wednesday, nel quinto turno di FA CUP, è l’ultimo atto di Schwarzer con la casacca del Bradford: l’indomani era già un giocatore del Middlesbrough.

Da lì ha inizio una storia d’amore lunga ben 11 anni. La prima volta che i guantoni di Schwarzer toccano la traversa del Riverside Stadium è in una semifinale di League Cup contro lo Stockport County. Il giovane portiere non sembra neanche parente del timido ragazzino visto nelle fredde lande tedesche; mostra personalità e sicurezza, in area è dominante e tra i pali dimostra di saperci fare. Viene lanciato titolare anche in campionato, riesce a collezionare 7 presenze ma un serio infortunio rompe l’idillio del buon Mark, che è costretto ad assistere dalla tribuna al crollo verticale dei suoi ragazzi. Nei restanti due mesi il Boro riesce a perdere entrambe le finali delle coppe nazionali e si materializza l’incubo della retrocessione in Championship.

Un duro colpo, che non scalfisce minimamente Mark, il quale sembra aver trovato il suo posto nel mondo. Quella maglia gli ha trasmesso emozioni speciali, quello stadio lo sente casa sua, quel popolo la sua gente. L’estremo difensore si rimette in sesto in perfetto orario per ripartire, stavolta sì, a guidare la retroguardia del Boro, lì da quei pali, dove vedi prima di tutti le cose e dove sei l’ultimo chiamato ad aggiustarle, senza possibilità di fallire. Il purgatorio in Championship dura soltanto una stagione. L’unica macchia di una stagione da incorniciare è ancora quella maledetta coppa di lega: dopo un cammino sorprendente, che ha visto il Boro giungere alla finale da vera underdog, Schwarzer e compagni devono arrendersi al Chelsea di Zola e Vialli. È un’altra delusione, stavolta lenita dalla promozione ottenuta e dal ritorno nel calcio che conta, con una certezza in più rispetto alle stagioni precedenti: dalle parti del Riverside Stadium c’è un nuovo eroe tra i pali, che diventa leader in campo. Non è uno di tante parole Mark, del resto basta uno sguardo feroce per essere intimiditi da quella montagna di muscoli. Radiocomanda i suoi dai pali, in una compagine che fa dell’arroccarsi in difesa il suo piatto forte, prima che sia costruito il team dei miracoli a marchio Maccarone-Viduka.

Balziamo al 2003-2004. Il Middlesbrough arriva per la terza volta in una manciata di stagioni in finale di Coppa di Lega: un trofeo che pare maledetto, quasi come fosse attanagliato da un sortilegio che gli impedisce di sbarcare nel North Yorkshire. Questa volta tra il Boro e la gloria c’è il Bolton Wanderers. Quel giorno però il destino deve esser scritto diversamente, nonostante gli spiriti maligni ce la mettano tutta: Schwarzer commette una papera clamorosa su una conclusione di Kevin Davies, che rievoca su un ambiente intero lo spettro delle finali perse. A spezzare definitivamente l’incantesimo ci pensano Job e Zenden: il Middlesbrough è finalmente campione.

L’apice dell’esperienza con gli Smoggies? Non proprio. Perché le cose vanno di bene in meglio. La stagione successiva il Boro si trova inaspettatamente a lottare per l’Europa, dopo decadi di sofferenza ed anonimato. Quel gruppo tanto inaspettato quanto granitico si trova di fronte il Manchester City: un’ultima battaglia di 90 minuti per agguantare un traguardo sportivo che a inizio stagione non si sarebbe prefigurato neanche il più ottimista dei tifosi.  Va in scena una partita dura, sporca, arcigna, insomma roba tagliata su misura per il Boro. Il risultato è bloccato sull’1-1, e al Middlesbrough andrebbe bene così. Poi nel recupero sembra tutto andare a farsi benedire. Il direttore di gara assegna un penalty ai Citizens, sul dischetto va Robbie Fowler, uno che non si è mai fatto troppi problemi a segnare. Davanti a lui si staglia la sagoma di Mark: l’ultimo baluardo a difesa del sogno del suo popolo. Sono attimi che durano un’eternità: gli sguardi di ghiaccio, la bolgia del City of Manchester che diventa aria ovattata, come quando il vento si placa lasciando parlare la montagna. Schwarzer ipnotizza il bomber, facendo esplodere in urlo di gioia il popolo giunto dal Riverside Stadium. L’impresa è fatta, il sogno è coronato: il Middlesbrough si qualifica storicamente per la Coppa UEFA, Schwarzer si consacra eroe di una contea.

L’anno successivo un terremoto mediatico inaugura l’estate calcistica del Boro. I tabloids riportano la notizia: qualcosa sembra essersi rotto tra il portiere australiano e la società. Il calciatore è pronto a lasciare immediatamente quella che per otto stagioni è stata casa sua. Dopo un paio di settimane di silenzio totale, la svolta: è il cuore che vince e passa oltre le acredini. Cambia tutto, Schwarzer resta. E mai scelta fu più azzeccata, perché il Boro si rende nuovamente artefice di una sensazionale cavalcata sino alla finale di coppa UEFA. C’è da dire che Mark si dimostra un duro, perché il destino, come al solito, cerca di mettergli il bastone tra le ruote, di essere il dodicesimo uomo da affrontare e sconfiggere, il più temibile dei centravanti. Infatti, a distanza di poche settimane dall’incontro, rimedia una seria frattura allo zigomo in uno scontro di gioco. La sua assenza sembra scontata. “Qualsiasi partita, ma non la fottuta finale, cascasse il mondo sarò tra i pali a guardia di una fede”. Purtroppo, come spesso accade a chi tifa Boro e nasce un po’per soffrire, il sogno si spezza al fotofinish a causa di un ingiocabile Siviglia che archivia la pratica con un sonoro 4-0 firmato Luis Fabiano, Kanoutè e da una doppietta di Enzo Maresca.

La stagione seguente è veramente quella dell’ultima apparizione all’ombra del Riverside Stadium: Schwarzer tocca quota 446 presenze con la casacca del Boro, e la fascia di capitano stretta al braccio. I compagni lo onorano come meglio non si può, stendendo per 8-1 il City in una sconfitta che ancora oggi dalle parti dell’Etihad si ricordano bene. Anche un granitico come Mark non riesce a trattenere le lacrime. È la fine di un ciclo. Neanche un’ultima offerta di Southgate riesce a far breccia nel cuore dell’australiano, e forse è giusto così, perché arriva un momento in cui certe storie devono finire, per mantenere intatto un ricordo cristallino, bello e malinconico.

Tra le tante offerte che giungono sulla scrivania dell’australiano, tra cui quelle prestigiose di Bayern e Juve, vince la voglia di rimanere nella Terra che lo ha adottato, amato e forgiato come giocatore. Direzione Craven Cottage, dritto dritto tra i pali del Fulham. A Londra trascorrerà 4 stagioni, nelle quali metterà al servizio dei Cottagers la sua esperienza, fornendo ottime prestazioni e ottenendo riconoscimenti personali di alto rilievo. Fu centrale nel cammino che portò il Fulham in finale di Europa League, ma le coppe e Mark sono quanto di più simile a due rette parallele, e anche stavolta è inutile scrivere il finale. Sempre in maglia bianconera taglia il traguardo delle 500 presenze in Premier League, consegnandosi alla storia di questa competizione.

Terminata l’esperienza nell’Ovest di Londra, Schwarzer cambia quartiere: finisce al Chelsea di Mourinho, nel ruolo di vice Cech. Complice l’infortunio di quest’ultimo, Mark riesce a collezionare diverse presenze nonostante la veneranda età. L’arrivo di Courtois fa scalare il 41 enne terzo portiere nelle gerarchie dello Special One, allora l’australiano decide di accettare un’ultima sfida prima di appendere gli scarpini al chiodo. L’ultimo treno si ferma al King Power Stadium: gli acciacchi non gli impediscono di dare un prezioso contributo all’eroica salvezza delle sette vittorie consecutive. In quello storico 2 maggio 2016, sebbene non scenda mai in campo durante il corso della stagione, alza al cielo la Premier League con il suo Leicester City, diventando, a 43 anni suonati, il giocatore più anziano a vincere il campionato inglese. Il degno lieto fine per un calciatore che ha dedicato tutto se stesso a questo sport.

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