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Justin Fashanu, il campione che fu emarginato per essersi dichiarato gay

5 ' di lettura

Le cose al Nottingham Forest non stanno affatto andando bene.

Sono qua da pochi mesi ma quello che doveva essere il trampolino definitivo verso la mia consacrazione di calciatore si sta rivelando un fallimento assoluto. Nell’estate del 1981 metà First Division era sulle mie tracce. Ho solo 20 anni e in meno di due stagioni da titolare ho segnato più di 40 gol nel piccolo Club dove sono cresciuto, il Norwich City.

Di strada ne ho fatta tanta da quel maledetto giorno in cui i miei si separarono e spedirono me e mio fratello minore John in un orfanotrofio nel Norfolk. Avevamo 6 anni io e 5 mio fratello John. L’estate scorsa mi volevano l’Arsenal, il Totthenam e pare perfino il Liverpool. Ero ‘l’uomo mercato’. Uno dei miei gol è stato votato “goal of the season” nella stagione scorsa ed ora è nella sigla di “Match of the day”. Che gol ragazzi ! Spalle alla porta stoppo una palla non facile, me la faccio scivolare a fianco e “BUM” sparo un bolide da 25 metri buoni che si infila sotto l’incrocio della porta difesa da Ray Clemence, il bravissimo portiere dei Reds del Merseyside.

E quando si fa avanti il Nottingham Forest non ho un dubbio al mondo!

Voglio giocare per i ragazzi di Brian Clough! Solo l’anno prima sedevano sul tetto d’Europa dopo il secondo trionfo consecutivo in Coppa dei Campioni. La stagione precedente non è stata esaltante ma Peter Taylor, il famoso Assistente di Clough, quando è venuto a casa mia a Norwich ha parlato chiaro: ‘Ragazzo, ti vogliamo con noi’ mi ha detto. ‘I tuoi goals possono farci tornare sul tetto d’Inghilterra e d’Europa’. Parole che sono miele per le mie orecchie. Ho già esordito e segnato con l’Under 21 inglese e ora manca solo il grande salto; quello alla Nazionale maggiore, quello nei bianchi Leoni d’Inghilterra. Pare solo una questione di tempo, mesi, forse anche solo settimane. Viv Anderson è stato il primo ‘colored’ a giocare per i bianchi. Guarda caso è del Nottingham. Chissà, io potrei essere il primo nero a SEGNARE un gol per i bianchi d’Inghilterra. Il Nottingham Forest ha sborsato un milione di sterline tondo tondo. Sono il primo nero a costare tanto.

Insomma pareva tutto perfetto. Solo che non è affatto così.

Non lo è assolutamente. Brian Clough non mi voleva al Forest. Io sono un acquisto di Peter Taylor. E’ lui che mi ha voluto al Forest. Funziona così tra i due. Se l’acquisto è all’altezza ‘Io e Peter abbiamo acquistato Tizio e Caio’, sentenzia ‘ego’ Clough. Quando il nuovo arrivato delude è un acquisto esclusivamente voluto da Taylor! Il Nottingham è la controfigura della squadra che poco più di un anno fa vinse la Coppa dei Campioni in finale con l’Amburgo di Kevin Keegan. Tanti se ne sono andati e i nuovi arrivati (di Taylor ovviamente!) non paiono all’altezza. Io sono fra questi, anzi, visto quello che hanno speso per me io sono il grande ‘flop’. Qui non siamo al Norwich dove i miei compagni giocavano per me. Io ho bisogno di cross, di palloni negli spazi per andare via di potenza e liberare il mio tiro. Qua giocano palla a terra, scambi stretti e triangolazioni veloci. Quando funziona è un bel calcio da vedere e da giocare. Ma non è il mio calcio. Potrebbe sembrare sufficiente ma questo è solo l’inizio dei miei guai. Quelli veri sono altri…

Io sono omosessuale.

O meglio. Amo ANCHE gli uomini. Brian Clough ha saputo che frequento un locale conosciuto per essere ANCHE un ritrovo gay a Nottingham. Questo per lui è inaccettabile. E me lo fa sapere in maniera inequivocabile. Siamo negli spogliatoi, al termine di un allenamento e ci sono tutti i miei compagni di squadra. ‘Fash, dove vai sei hai bisogno di una micca di pane?’ ‘Beh, dal fornaio, ovvio’ rispondo io non avendo la più pallida idea di dove stia andando a parare il Boss. ‘E dove vai sei hai bisogno di una bistecca?’ ‘Dal macellaio, è chiaro’. ‘Bene ragazzo… allora se vai in un dannato locale di finocchi di cosa hai bisogno??!!’. Resto immobile, senza parole. Lo trovo umiliante, inutile e umiliante. I miei compagni abbassano gli occhi. Quantomeno non ride nessuno alla sua ignobile battuta. Ora però siamo ai ferri corti. Quando non sono nei paraggi mi chiama quel fottuto finocchio. Ma deve farmi giocare. Sono costato tanti soldi, non ha alternative.

Io però non riesco più a dare il massimo per un uomo così.

In campo sono nervoso, troppo. Vengo espulso spesso e anche fuori dal campo le cose non vanno meglio. Per lui sono troppo diverso. E non solo nei gusti sessuali. Mi piacciono le macchine sportive. In fondo ho vent’anni e voglio spassarmela un po’. E sono religioso, credo profondamente in Dio. Anche questo non sta bene al ‘carismatico’ Brian Clough. Non posso più giocare per lui. Non ce la faccio. Il guaio è che la mia reputazione ora è quella di piantagrane, di ragazzo viziato. Sembrava tutto così vicino. La nazionale inglese, la fama, i trofei. Invece, per una scelta sbagliata, mi sono bruciato tutto in pochi mesi.

Ce la farò a risorgere ?”

Justin Fashanu inizierà a girovagare da un team all’altro senza troppo successo. Troverà al Brighton un po’ del vecchio splendore ma nel 1985 arriva un grave infortunio al ginocchio. In pratica sta fermo più di 3 anni. Riparte dagli Stati Uniti d’America nel 1988. Il ginocchio pare tenere. Torna in Inghilterra, ma le voci sulla sua omosessualità sono sempre più insistenti. Il mondo del calcio è un mondo chiuso, omofobo e che vive di stupidi clichés. 30 anni fa lo era ancora di più. Justin è stanco di tutta questa situazione e decide di prendere il toro per le corna. In una lunga intervista al SUN dichiara apertamente la sua omosessualità, primo calciatore di fama a fare outing pubblicamente.

Justin pensa di trovare solidarietà o quantomeno comprensione.

Tutt’altro. L’isolamento è totale. La comunità nera lo definisce “un affronto, un danno d’immagine per tutta la comunità, fatta da un uomo patetico e imperdonabile”. Perfino suo fratello John, con il quale ha condiviso tutto, l’abbandono dei genitori, l’orfanotrofio, l’adozione e anche i primi successi nelle rispettive carriere di calciatori, lo rinnega prendendo le distanze da lui in maniera dura e inequivocabile. Justin deve scappare dall’Inghilterra. Prova in Scozia ma è la stessa cosa: “Poof, poof, poof” è il coro più carino che si leva dagli spalti. Finalmente pare trovare un po’ di pace negli Stati Uniti. Gioca in una squadra di buon livello, segna diversi gol. Pare rinato. C’è chi gli offre un contratto di allenatore-giocatore. L’Inghilterra lo ha ripudiato. L’America pare accoglierlo. Ritrova un po’ di serenità.

Ma il destino lo aspetta al varco. E’ il 1998.

Ad una stazione di polizia del Maryland arriva un diciassettenne che afferma di essere stato drogato da un adulto e il quale poi ha avuto con lui un rapporto sessuale. L’accusato della violenza è Justin Fashanu. Fashanu si difende con veemenza. Il rapporto era assolutamente consenziente. E’ pronto a tutto per dimostrarlo. Perfino di sottoporsi alla macchina della verità. Nero ed omosessuale. Non sono certo delle attenuanti. La polizia comunque pare credergli. Nessun arresto preventivo. Ma rimangono comunque tutte le altre accuse. Somministrazione e spaccio di droga e alcool ad un minorenne. Ed una assurda legge del Maryland, che vieta la sodomia e perfino i rapporti orali nel matrimonio… figuriamoci tra un nero, adulto ed omosessuale ed un minorenne. Tutto questo equivale ad anni di carcere.

Quando la polizia va a casa sua per il processo Justin non c’è. La paura è stata più grande della ragione. Justin, in preda al panico, scappa in Inghilterra. Contatta il suo ex-manager, i pochi amici. Nessuno vuole più avere a che fare con lui. Neanche fosse un lebbroso. Nero ed omosessuale nell’Inghilterra di quegli anni è molto peggio.

Lo trovano impiccato in un garage semi abbandonato di Shoreditch, nel nord di Londra, il 3 maggio del 1998.

Nel Maryland intanto il processo a suo carico viene archiviato per mancanza di prove. Justin Fashanu aveva 37 anni. Sul suo corpo trovano un biglietto “Non voglio dare altro imbarazzo alla mia famiglia e alle persone che mi sono care. Spero solo che il Gesù che amo mi accolga e che io possa finalmente trovare la pace” Speriamo Justin, speriamo davvero. E speriamo anche che, almeno lassù, tu possa amare chi vuoi.

Tratto da “STORIE MALEDETTE – L’altra metà del calcio” di REMO GANDOLFI – Edizioni Urbone

Link:http://www.urbone.eu/obchod/storie-maledette

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