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I Reds: dall’incubo al trionfo. La dimostrazione che non esiste montagna che non si possa scalare

8 ' di letturaSappiamo già come finisce questa storia, è appena finita: il Liverpool Football Club, dopo un’interminabile attesa lunga trent’anni, è per la diciannovesima volta campione d’Inghilterra.

Questo è il trionfo di una squadra che è diventata una macchina perfetta, una schiacciasassi implacabile capace di lasciare dietro di sé un avversario altrettanto spietato come il Manchester City di ventitré punti a sette giornate dalla fine, per lo più in un campionato come la Premier League; è la consacrazione di un gruppo di calciatori straordinari che hanno pensato solo a credere in loro stessi e, almeno questo sembra quando scendono in campo, a divertirsi come dei matti. È la vittoria di un allenatore che ha preso in mano una squadra ferita, depressa, ma ha capito subito che era la squadra giusta per fare qualcosa di grande, non importava quanto tempo ci dovesse mettere, avrebbe riportato il cuore rosso del Merseyside a vincere.

Jürgen Klopp ha messo per la prima volta piede ad Anfield Road nell’ottobre del 2015, periodo che, se pensiamo esclusivamente all’aspetto temporale, di fatto non è così lontano da oggi, ma in realtà ci sembra di doverci sforzare per tornare indietro con la nostra mente. Brendan Rodgers era stato appena sollevato dall’incarico di allenatore dei Reds.

La società e la squadra ci avevano provato a far funzionare le cose, ma l’epilogo della stagione terminata neanche un anno e mezzo prima era stato troppo pesante. Bisognava cambiare. E in effetti, a pensare alla Premier League 2013-2014, vengono i brividi, soprattutto se chi ripensa a quel campionato è un tifoso del Liverpool. Tutti ricorderanno. La piazza era praticamente sicura, ad aprile 2014, che i Reds avrebbero finalmente alzato il trofeo della Premier: i ragazzi di Rodgers avevano battuto il Manchester City ad Anfield per 3-2 e avevano conquistato la vetta di un campionato che a quel punto non era più un’utopia, anche perché quei quattro là davanti non scherzavano, quel Baby magician con il numero 10, Coutinho, la giovane sorpresa che poi è diventata una certezza Sterling, il rinato Daniel Sturridge e il Pistolero Suarez avevano dato spettacolo per tutta la stagione, a quel punto dovevano solo vincere.

Purtroppo, come spesso succede in questo meraviglioso ma a volte malvagio gioco, la sorte decretò che non solo il Liverpool quel campionato non lo avrebbe mai vinto, ma si scagliò contro il simbolo di quella squadra, di quella città, il capitano Steven Gerrard. Un giro palla in fase difensiva, un disimpegno, niente di più, Stevie G. riceve da Sakho senza neanche guardare la palla, la sua classe glielo permette, è già con la testa a pensare a chi giocarla, ma doveva andare così. Quella zolla neanche tanto marcata del perfetto manto erboso di Anfield disorienta il numero 8, che addirittura scivola. Demba Ba va in porta. È 1-0 e manca ancora tanto, ma da quel momento la tenuta mentale della squadra crolla. È questa l’unica spiegazione, perché come può essere possibile che la settimana dopo, sul campo del Crystal Palace già completamente sicuro di rimanere in Premier League, una squadra come quella si trovi in vantaggio per tre reti a zero al settantanovesimo e si faccia rimontare in pochi minuti? I Reds erano semplicemente caduti nell’incubo, un incubo che se li è divorati e li ha annientati. Anche quello non era l’anno buono. Ci voleva qualcosa di diverso, qualcuno di diverso. Non dal punto di vista tecnico, Rodgers aveva dimostrato di essere un ottimo manager, i giocatori erano forti, anche al netto della cessione al Barcellona di Suarez, ma il malinconico sesto posto raggiunto nella stagione successiva non poteva che essere la fine di quel ciclo, almeno in parte.

Swansea Rodgers

Klopp invertì subito il vento. Il suo sorriso, la positività, l’entusiasmo di uno così era aria fresca per il “Red Merseyside”, che comunque non ha mai lasciato sola (You’ll never walk alone) la sua squadra, rimasta orfana della sua leggenda, il capitano Steven Gerrard, che è troppo grande per essere ricordato per quello scivolone ed è troppo grande persino per aver vinto “solo” Champions League ed F.A. Cup con quella maglia. Il nuovo manager capì che la base era più che buona, che questo non era il Liverpool degli anni di Hodgson e Dalglish, che sì avevano una discreta squadra, ma senza mai dimostrare di avere la caratura per poter finire davanti a tutti in Premier League. Ha cominciato a lavorare sulla mentalità, sulla grinta, sulla voglia di vincere ad ogni costo, sul pensiero costante che ogni rimonta è possibile e subito si videro i frutti. È il 14 aprile 2016 e ad Anfield si gioca il quarto di finale di ritorno di Europa League Liverpool-Borussia Dortmund. Risultato della gara di andata: 1-1. La partita è semplicemente folle, da cardiopalma: i Reds, prima sotto 2-0 e poi 3-1, ribaltano il risultato nei minuti finali facendo esplodere Anfield, che da quella sera scoppierà definitivamente d’amore per il suo nuovo leader Jürgen Klopp.

IL QUARTO DI FINALE TRA LIVERPOOL E BORUSSIA DORTMUND

Alla fine quell’Europa League il Liverpool la perderà in finale contro il Siviglia di Emery ma, anche se la delusione è tanta e in campionato non si è andati oltre un pallido ottavo posto, qualcosa era cambiato. Mettiamo anche che durante quell’estate sono sbarcati ad Anfield due come Roberto Firmino e Sadio Mané, due scommesse di Klopp, che con loro sa di avere una squadra molto competitiva con due leader importanti come Henderson e Milner, un fuoriclasse ormai affermato come Coutinho, una garanzia come Sturridge e, appunto, questi due talentuosi nuovi arrivi ai quali poter dare fin da subito tanti minuti e tanta responsabilità. Certo, manca qualche tassello, soprattutto in difesa, ma la grande stagione si può fare comunque. La squadra gioca abbastanza bene ma i risultati non arrivano, o meglio, arriva un quarto posto che permette di tornare in Champions League e di essere ancora più competitivi sul mercato. Klopp non ebbe dubbi fin da subito: si doveva puntare tutto su Mohamed Salah, che il Liverpool acquistò dalla Roma in estate, per schierare un attacco stellare e far partire Coutinho da posizione più arretrata. Salah si rivelerà devastante segnando praticamente in ogni partita, lo sappiamo, con gli altri due compagni d’attacco che non sono da meno, ma fu a gennaio che si concretizzò la svolta. Quel vecchio pallino della difesa: Klopp sentiva che poteva esserci un solo giocatore in grado di migliorare in maniera decisiva quella squadra, ma c’era un piccolo problema: quel giocatore, e Klopp voleva lui e nessun altro, costava davvero tanto, forse troppo.

Il giocatore era Van Dijk e Klopp aveva bisogno di lui subito a gennaio, ma il Southampton chiedeva quasi ottanta milioni di sterline, la dirigenza dei Reds non poteva che essere titubante nell’accettare di pagare un difensore del Southampton quella cifra, ma non ci fu nulla da fare: il mister lo voleva, gli sarebbe stato indispensabile e, a costo di poter allenare Van Dijk, poté accettare di perdere Coutinho, che comunque avrebbe spinto in prima persona per trasferirsi al Barcellona, pochi giorni dopo. Virgil Van Dijk arrivò ad Anfield nei primissimi giorni del 2018 e l’impatto fu incredibile: è in quel momento il difensore più pagato della storia del calcio (75 milioni di sterline) e si presentò col botto decidendo il derby contro l’Everton in F.A. Cup nei minuti finali, lo stesso giorno in cui Coutinho venne ufficializzato come il nuovo acquisto del Barcellona.

A questo punto Klopp è soddisfatto pienamente della sua squadra, sa di poter raggiungere risultati davvero importanti e, se non ci riuscì in Premier (il Liverpool arrivò quarto anche quell’anno), ci andò vicinissimo in Champions, nella finale di Kiev, dove solo il Real Madrid e un’inspiegabile e inaccettabile prestazione del portiere Karius separarono lui e la squadra dal trionfo. Superare quella serata non è sicuramente stato facile: il buio del portiere che condanna la sua squadra ad una sconfitta che dire anticipata è dire poco e l’infortunio di Salah alla spalla non avrebbero fatto ben sperare quasi nessuno. Ma ancora una volta il Liverpool e il suo allenatore vedono qualcosa di diverso da tutto questo e si convincono che dal mezzo della tempesta c’è sempre il modo di uscire e di uscirne trionfanti.  HIGLIGHTS FINALE 2018 Real Madrid-LIVERPOOL 3-1

E allora la giostra riparte, lo fa con un nuovo portiere, Alisson, che ad oggi sembra, senza esagerare, il migliore al mondo nel suo ruolo, e con tanto, tanto entusiasmo e voglia di tornare dove pochi mesi prima tutto era andato storto. La stagione del Liverpool è straordinaria, tolta la prematura eliminazione dall’F.A. Cup. In campionato si è assistito ad uno dei più bei duelli per il titolo degli ultimi anni, guarda caso tra i Reds e il City di Guardiola, che fu capace di trionfare all’ultima giornata tenendo la zampa avanti di un punto sui ragazzi di Klopp, mentre in Champions è accaduto qualcosa alla quale difficilmente ogni generazione ha la possibilità di assistere. Non è stata ovviamente la finale, partita contratta e non bellissima, tutta all’inglese contro il Tottenham di Pochettino, regolata senza eccessivi problemi dal Liverpool, ma la semi-finale contro il Barcellona. Già il fascino di una sfida contro il Barça è unico, ma mettiamoci anche che lì gioca l’ex Suarez, che c’era andato a tanto così dal riuscire a vincere con la maglia del Liverpool, ma soprattutto, che la maglia blaugrana la indossa anche Coutinho, una volta il figlio prediletto di Klopp.  IL BARCELLONA BATTE I REDS 3-0 AL CAMP NOU

 L’IMPRESA IMPOSSIBILE DI ANFIELD: LIVERPOOL-BARCELLONA 4-0

A volte anche un pensiero può essere pesante, nel senso di faticoso, qualcosa che è già perso prima di cominciare, perciò forse non ne vale neanche tanto la pena di spremersi le meningi, un po’ come dopo la rete del 3-1 del Dortmund in quel quarto di finale di Europa League del 2016. Ma per qualche motivo i grandi quel pensiero lo fanno, anzi, si nutrono di quel pensiero, di quella potenziale inesorabile utopia, ed è per questo che nella testa di Klopp, Alisson, Van Dijk, Henderson, Salah e tutti gli altri, dopo aver lasciato il Camp Nou da sconfitti per 3-0 dal Barcellona di Messi, non c’era altro che rovesciare il risultato la settimana successiva. E soprattutto quel pensiero ce l’hanno avuto Origi e Wijnaldum, lo sappiamo, una doppietta a testa e 4-0. Sì, qualcuno dice che se il Barcellona non avesse fallito delle chiare occasioni da gol all’andata già sul 3-0 non sarebbe andata così, beh io invece dico che quella sera i Reds avrebbero ribaltato qualsiasi parziale, perché la voglia di tornare dove l’anno prima non avevano avuto la possibilità di esprimersi nel pieno delle loro forze era troppo grande, non ci sarebbe stato Messi, Suarez o altri fenomeni a fermarli, ci sarebbe stata solo la voglia di vincere del Liverpool, di scalare quella montagna, e così alla fine è stato.

Alzare quella coppa dalle grandi orecchie ha fatto scoppiare in lacrime di gioia i tifosi, ha gratificato oltremodo i calciatori, la società, l’allenatore, ha fatto intonare a tutto Anfield quello You’ll never walk alone che quasi tutti quelli che lo hanno ascoltato subito dopo la semifinale di ritorno lo hanno fatto piangendo.

Quella straordinaria vittoria in Champions, inoltre, ci ha fatto capire che era solo questione di tempo, per l’obiettivo principale, quello che mancava da trenta lunghissimi anni, e puntualmente è arrivato, lo ha fatto nell’anno più strano, più triste per certi versi, se pensiamo alla pandemia di coronavirus e a quello che è costato, lo ha fatto in una stagione che si era interrotta e che è faticosamente ripartita. Non occorre soffermarsi sui dettagli, i Reds hanno dominato la Premier fin dal primo giorno e ora sono campioni, a sette giornate dalla fine, ma la cosa più significativa da far presente è quello che ha detto in un’intervista Sadio Mané durante il “lockdown”, quando ancora si parlava di annullare i campionati. Alla domanda su che cosa ne pensasse di dover rinunciare a terminare e vincere questo campionato, il numero 10 ha risposto così: “non c’è problema, vinceremo l’anno prossimo”.

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