Prendete un fisico tutt’altro che affusolato. Mischiatelo ad un’ancestrale dose di pigrizia spalmata lungo l’intero arco di un’esistenza. Frullate questi ingredienti ad una sana porzione di follia ed intuito. Ecco: se avete fatto tutto bene il risultato dovrebbe essere un personaggio leggermente sovrappeso, caracollante, improbabile, eppure certamente divino.

All’ingresso del The Dell, la casa del Southampton, ha campeggiato per stagioni intere un cartello fortemente eloquente: “Benvenuti nella casa di Dio”. E, se questa è la squadra dei Santi, non poteva esistere combinazione migliore.

Ma come ha fatto un uomo all’apparenza assolutamente comune ad ergersi ad idolo indiscusso di un popolo? E come fa ad essere ancora oggi così trasversalmente amato da tutti, malgrado un destino legato al club infilato nel sud est del Regno? La spiegazione, probabilmente, è riposta nelle cose semplici: Matthew Le Tissier è l’incarnazione del vicino di casa bravo a fare soltanto una cosa. Del buon amico senza particolari qualità, se non quella di farti sollazzare ogni weekend. Del tizio che incroci per strada e lo percepisci dallo sguardo, che ha un’anima circense.

Pensateci bene. Non è certo avvenente, né ha i tratti dello sportivo: la sua pancetta prominente sembra un rivoluzionario atto di ribellione rispetto ai pesanti piani di lavoro imposti al ground d’allenamento. Inoltre è lento dentro il rettangolo verde e fuori: niente vita sotto i riflettori, perché tutto quello che serve è scolarsi pinte in sequenza nei pub cittadini, mescolandosi tra la gente.

Non è un divo. Non gode dello strapotere fisico di certi suoi colleghi. Fissate bene questo concetto, perché è proprio qui che si consuma l’incantesimo: perché comunque, a Matt, non gliene frega un bel niente. Lui tutte queste cose sembra non saperle e quindi, partita dopo partita, ricama incantesimi in ogni angolo del Regno.

Le Tissier: il Dio della gente comune

I suoi gol sono probabilmente il manifesto e la rappresentazione più folgorante di un’essenza intricata e sorprendente. Il 7 in maglia biancorossa li pensa quando il pallone ancora deve giungere in cassaforte tra i suoi piedi. Osa concepire l’impossibile mentre gli altri tergiversano. Le sue traiettorie, specie se colpisce da fuori, sembrano semplicemente prive di senso. Eppure atterrano puntualmente alle spalle del portiere di turno. Esplosioni che crepano di luce partite spesso complesse per i Saints, alimentando sogni e speranze. Lui sembra sempre sul punto di perdere il pallone, ma con quella cadenza ritmata di finte e controfinte, alla fine, non lo smarrisce mai. E ti fa male, da qualsiasi angolo del campo, perché non ha paura di provare. Non ha timore quando si tratta di girare la manopola per alzare il volume della sua follia calcistica.

“Non sono mai stato un buon perdente. Non mi piaceva perdere, ma c’era una parte di me che voleva dare spettacolo, far apparire un sorriso sul volto della gente. E mettere spesso un pallone sotto l’incrocio da 25 metri mi sembrava un buon modo per riuscirci”.

Ecco, la filosofia di vita di Matt sta tutta racchiusa in queste parole. L’uomo che dribbla il business per scegliere la felicità. Che, nel suo caso, si gira di scatto se pronunci il nome della città dei Santi. Sì perché c’è un’altra porzione della storia che preme per farsi raccontare. L’altra metà di un gioco di prestigio che contribuisce a stimolare un costante amore incondizionato verso Le God.

Perché, quando sei un grande calciatore, i riflettori dei grandi club puntano tutti verso di te. Inevitabili, arrivano le telefonate di Manchester Utd, Arsenal, Tottenham e Liverpool. Chiunque avrebbe pensato soltanto a fare le valigie. La sua scelta di vita, però, è differente. Stordente. Come un suo dribbling. Ed è proprio qui che nasce l’icona, l’eroe della gente comune.

“I grandi club che mi hanno chiamato? Li ho ringraziati, ma preferivo rimanere tra i pub e le persone di Southampton”.

Tenetevi i milioni ed i trofei sollevati in serie, perché è qui che lui vuole stare. Di quanti altri si potrebbe dire lo stesso? Il The Dell è il teatro e lui Shakespeare. I pub del porto – sì, proprio quello da cui partì il Titanic – sono i luoghi di culto dove praticare la liturgia dell’amicizia.

Che a volte, per essere felici, basterebbe semplicemente riuscire a darsi retta.