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La caduta degli dei: lo sgambetto di Sven-Göran Eriksson a Sir Alex Ferguson

Quando nella finale di Supercoppa Europea del 1999 un’italiana sfidò i diavoli rossi e vinse

5 ' di lettura27 agosto 1999. Principato di Monaco. Va in scena l’ultimo atto della stagione precedente, che segna anche l’inizio di quella attuale. Si gioca la Supercoppa Europea. Di fronte due squadre che, ai tempi, erano delle vere e proprie corazzate: a leggere le formazioni, viene quasi il magone da ultimi romantici. A contendersi il prestigioso trofeo, infatti, ci sono il Manchester United di Sir Alex Ferguson, vincitore della Champions League (nella rocambolesca finale contro il Bayern Monaco), e la S.S. Lazio di Sven-Göran Eriksson, vincitrice della Coppa delle Coppe, contro il Malaga (peraltro ultima edizione – la competizione viene poi cancellata).

Il Principato, così vicino all’Italia, è invaso dai tifosi della compagine capitolina. A loro disposizione pochissimi biglietti, rispetto ai tifosi d’oltremanica, ma qui viene il bello… Qualche inglese decide di rivendersi il ticket, ricavandone un bel po’ di soldi, poi ci si mettono i bagarini magrebini e poi il genio di qualche romano: fotocopie a colori. Scatta così un passaparola e molti di quelli arrivati senza biglietto, nel giro di qualche ora hanno il loro ticket in mano, perfettamente identico all’originale (non erano filigranati al tempo). Il risultato è che dei circa 18.000 presenti quella sera: ¾ sono laziali e lo stadio è praticamente biancoceleste.

La caduta degli dei: lo sgambetto di Eriksson a Ferguson (fonte LazioWiki)

Da brividi leggere chi scende in campo. Da una parte Stam, Beckham, Scholes, Keane, Cole, Sheringham; dall’altra Mancini, Nedved, Mihajlović, Veron, Simeone, Nesta… Qualsiasi squadra si tifi è inopinabile che quelle due siano tra le più forti di sempre. Delle macchine da gioco e da guerra. In avvio è proprio Teddy a provare a portare subito i suoi in vantaggio, per poi successivamente immolarsi nell’area di rigore avversaria. Dall’altra replica Sinisa con una bomba su punizione, che finisce alta sulla traversa. La Lazio sta salendo in cattedra, per nulla intimorita dall’avversario, anzi: quasi esaltata dal suo prestigio e dal prestigio della partita stessa. Sulla fascia destra assistiamo ad un duello Stam contro Inzaghi: lottano gomito a gomito, sul filo del bordo campo, l’olandese ruba palla e la passa suo portiere, il quale rinvia malissimo e Mancini a momenti la butta dentro letteralmente di c*lo (nel senso anatomico della parola).

Intanto Simone è a terra, faccia insanguinata: nella corsa forsennata, Jaap gli ha piazzato una gomitata in pieno viso e gli ha spaccato il setto nasale, obbligandolo poi alla sostituzione, già al 23°. Quando era arrivato, in molti pensavano fosse stato preso il fratello sfigato di Filippo e un’ottima riserva: invece ha dimostrato, negli anni, in più di un’occasione, di avere senso del gol e grinta da vendere. Anche se, con certi giocatori, c’è poco da fare. “Spiaze” deve avergli detto Stam… no, non gli ha detto così: solo un “Sorry”, facendo spallucce, mentre sentiva il laziale recitare il calendario gregoriano. Non capiva un’acca, tranne che continuava ad inveire, e con uno come lui non dovevi farlo mai. “Dopo le solite lamentele, tipiche anche del fratello (Filippo – ndr), ha cominciato a minacciarmi, sembrava che gli avessi sparato; poi l’ho aspettato negli spogliatoi, ma di lui non c’erano più tracce.”

Di nuovo Mancini serve un gioiello a Stankovic, che si svincola, riceve, tira e la piazza di poco a lato. Intanto entra Salas, al posto di Inzaghi. Andy Cole manca di poco il gol, ma ormai è un assedio solo avversario: corrono, dannatamente, si stanno giocando la partita della vita e sono un fiume in piena difficile da arginare, che probabilmente non si aspettava nessuno. Van der Gouw, con un occhio nero, para il parabile: e che bombe!

La caduta degli dei: lo sgambetto di Eriksson a Ferguson

Poi al 35° ancora Mancini, con una genialità, un istinto e una classe che esaltano ogni volta che lo vedi muoversi: riceve palla, la gira al volo di testa per Salas che sbuca da dietro, El Matador se la aggiusta di petto e poi scarica il sinistro al volo… ed è gol! Esplode lo stadio Louis II: un orgasmo laziale si propaga come una hola! Festeggiano il cileno e i compagni in campo, fino all’ultimo tifoso del seggiolino in cima. E poi ancora, continuano: è Nedved a sparare di nuovo di poco a lato. I Red Devils di Ferguson provano a riprendersi, a tenere botta: Beckham fa un passaggio perfetto per la testa di Scholes, che colpisce dritto a rete, impegnando non poco nella parata un Marchegiani in grande spolvero. Archiviato il primo tempo, si va al secondo.

Subito, di nuovo, è Salas a tentare la doppietta: prima va a sbattere sulla parata volante dell’estremo difensore avversario e poi a sfiorare il palo destro, con un altro gol praticamente fatto; fallisce ancora, successivamente, sempre davanti alla porta. Neanche la voglia di imprecare, tanto è rimasto senza parole… Mancano ormai 15 minuti alla fine. La Lazio, pur di confermare il risultato, prova a segnare su tiri da fuori, con Mancini e Almeyda. Dall’altra parte riesce solo a Solskjær a fumarsi tre giocatori in dribbling per poi tirare, però, tra le braccia del portiere.

La caduta degli dei: lo sgambetto di Eriksson a Ferguson

Avanti così. Con la stanchezza degli ultimi minuti che spegne progressivamente la corsa e le energie dei giocatori. Fino al fischio finale: la Lazio batte il Manchester United più forte di sempre e sale sul tetto d’Europa. Eriksson e i suoi alzano la coppa al cielo. Stavolta, il “Fergie time” (il famoso ultimo quarto d’ora di Ferguson) non ha sortito effetto. I mancuniani che ad inizio stagione arrancano sempre quella sera non hanno sfigurato, pur essendo in evidente forma fisica meno brillante dell’avversario. Solamente contro quella Lazio davvero nulla potevano. Monaco si veste così di biancoceleste. Si spengono le luci del piccolo stadio e la festa continua fuori, per le strade, fino giù a Roma.

Quando, circa 10 anni dopo, un giornalista chiede a Sir Alex Ferguson se avesse rimpianti nella sua carriera e quali fossero, lui risponde così: “Ho vinto tantissimo, 12 volte la Premier League e in totale più di 30 trofei, ma quel titolo perso nel 1998 dopo aver sprecato addirittura dieci punti di vantaggio sull’Arsenal, è il rimpianto più grande relativo al calcio inglese. In generale, il rimpianto maggiore è non aver battuto la Lazio ad agosto del 1999 nella finale di Supercoppa Europea a Montecarlo, perché in quel momento quella di Eriksson era la squadra più forte del Mondo.” Ipse dixit. We’re not invincibles, we’re only people… e quella sera, il loro, è stato il sogno di qualcun altro.

[LEGGI ANCHE Ore 22.34: quando Solskjaer portò i diavoli rossi in Paradiso]

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Ilaria Ciangola
Di Trento. O.S.S. in Pronto Soccorso. Tifosa e appassionata di calcio (italiano e internazionale), viaggi, Oasis e tutto ciò che è oltremanica.

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