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Andrei Kanchelskis: l’ala rivoluzionaria che incantò Old Trafford

Il sovietico che illuminò il Teatro dei Sogni.

8 ' di lettura

Kirovograd, 23 Gennaio 1969. In mezzo alla neve ed al grigiore tipico di una cittadina sovietica di metà anni ’60, nasce Andrei Kanchelskis. Quel bambino, venuto al mondo in un’aria cupa e ovattata, qualche anno più tardi sarà portatore di luce nel Teatro dei Sogni.

La sua vocazione sportiva è indubbia, tanto che nei primi anni di gioventù il piccolo Andrei si divide tra calcio, hockey e sci di fondo, risultando dominante in tutte e tre le discipline. Del resto, quando madre natura ti ha donato un’accelerazione fulminea ed una resistenza stupefacente, il risultato non può che essere questo. Dopo anni di “triathlon”, spinto dai consigli dei suoi allenatori, Andrei decide di mettere le sue doti fisiche esclusivamente al servizio dell’oggetto sferico che fa impazzire gli occidentali. Una scelta che alla luce dei nostri giorni può risultare “mainstream”, discorso che però non vale nell’URSS di quegli anni, nazione dominante, specialmente nell’hockey sul ghiaccio, a livello planetario.

Così, nel 1988, il promettente Kanchelskis viene inserito nel settore giovanile della Dinamo Kiev, fucina di talenti del calcio sovietico. L’impatto del giovane russo è semplicemente devastante, tutti notano le sue capacità, al punto tale che dopo appena un anno per lui è già tempo di arruolarsi ai grandi. Il giovane Andrei non sale in prima squadra in punta di piedi, ma da titolare inamovibile.

Dopo appena un anno di professionismo trascorso sulle rive del Dnepr, per Kanchelskis è già il momento di cambiare aria: destinazione Donetsk, a vestire la casacca degli acerrimi rivali dello Shakhtar. È il primo trasferimento eclatante per il talento sovietico… e non sarà l’ultimo. Un approdo discusso, che tuttavia si rivela dispensatore di fortuna per l’ala di Kirovograd.

Un giovane Kanchelskis in una delle sue prime gare con la nazionale sovietica.

In quegli anni, infatti, un signore scozzese aveva deciso di rivoluzionare totalmente il modo di fare calcio di un gigante dormiente in Terra d’Albione: il gigante in questione è il Manchester United, il signore (poi futuro baronetto) è Alex Ferguson. Una delle prime mosse attuate da Ferguson, una volta alla guida dei Red Devils, fu infatti quella di creare un imponente ed esteso “scouting network”, non solo all’interno del Regno Unito, ma anche in altre parti del mondo. Osservato speciale, assieme al panorama sovietico, era il fronte scandinavo, che nel corso degli anni ’90 porterà ad Old Trafford calciatori del calibro di Peter Schmeichel, Ronny Johnsen ed Ole Gunnar Solskjaer. L’ingaggio di Kanchelskis rappresentò la genesi di questa politica. Un metodo innovativo, quello di combinare talenti “made in England” con ottimi interpreti provenienti dall’estero, che si rivelò foriero di grandi risultati, riportando lo United ai vertici del calcio europeo.

Ma torniamo a noi. Sir Alex restò letteralmente ammaliato dal talento di Kanchelskis quando Rune Hauge, procuratore passato tristemente alla storia per lo “scandalo Graham”, gli inviò alcune videocassette dell’ala sovietica. Senza la minima esitazione, Ferguson ordinò al management dello United di mettersi in contatto con la dirigenza dello Shakhtar per ottenere il via libera all’organizzazione di una sorta di provino. Lo stesso Kanchelskis, in una recente autobiografia, svela che i dirigenti ucraini gli tennero nascosta la vera natura del viaggio, informandolo semplicemente che uno dei club di Manchester era interessato alle sue prestazioni, senza specificare quale.

Così, totalmente impreparato, indossando scarpini della taglia sbagliata e, parole sue, “playing a terrible game”, Andrei confermò le ottime impressioni fatte a Ferguson nei filmati. Il trasferimento, nonostante lo scetticismo generale, va in porto: lo United versa nelle casse del club ucraino 650.000 £. Lo stesso Ferguson commenterà poi la cifra sborsata per quello che, anche agli occhi degli addetti ai lavori, era uno sconosciuto ragazzino dell’Est: “Well, it’s a justifiable risk”.

Andrei non rappresenta affatto lo stereotipo del “sovietico” diffidente ed inflessibile. Il suo carattere gioviale gli consente di integrarsi immediatamente con i compagni, anche grazie a uno sforzo titanico, quello sì propriamente sovietico, nell’imparare la lingua in tempi brevi. L’inizio, calcisticamente parlando, non è dei più semplici: il talento e le doti atletiche non bastano. Le gerarchie da scalare sono toste, specialmente se davanti hai un certo Lee Sharp.

Il debutto da titolare con i Red Devils non è particolarmente felice per Andrei. Lo United viene battuto 3-0 contro il Crystal Palace, ma per il giovane russo ci sono tutte le attenuanti del caso: è infatti una partita nella quale Sir Alex ricorre ad un amplissimo turnover, lasciando in panchina gran parte dell’ossatura titolare, tenuta a riposo in vista della finale di Coppa delle Coppe contro il Barcellona di Cruijff (poi vinta dallo United).

Per il giovane Kanchelskis le cose cambiano radicalmente nella stagione successiva. L’ala sovietica, approfittando dell’infortunio di Sharp, diventa il proprietario della fascia destra dei Red Devils. Con Giggs ala sinistra e Kanchelskis ala destra Ferguson dà vita ad un 4-4-2 che fa dello United una vera e propria forza della natura. Una macchina apparentemente perfetta, solida ed al contempo ricca di qualità, destinata a vincere. Tutto verissimo, se non fosse che la stagione ’91-’92 vede quale protagonista dell’ultima First Division una mina vagante, di quelle che stravolgono ogni previsione: è il fantastico Leeds United che, da “underdog”, compie una storica cavalcata e soffia il bramato titolo dalle grinfie dei diavoli di Manchester.

Kanchelskis in dribbling

Dopo un finale di campionato ad altissimi livelli tutti, tifosi ed addetti ai lavori, si aspettano che la stagione ’92-’93 sia quella della consacrazione per l’ala sovietica. Ma così non è e la ragione è molto semplice: Lee Sharp rientra dall’infortunio, e lo fa fornendo prestazioni di livello sublime, tanto da relegare il rampante Kanchelskis sui comodi sedili ai bordi del Teatro dei Sogni.

Ecco che quel sorridente ragazzo proveniente dall’Est, quando il gioco si fa duro, quando da una repentina ascesa tutto sembra volgere verso un inesorabile declino, trova dentro di sé la solidità mentale e la tempra per rifiutare quel destino apparentemente scritto e travolgerlo egli stesso. E così accade, perché il ’93-’94 è l’anno in cui Kanchelskis incanta il Teatro dei Sogni.

In quella stagione mette in mostra tutto il proprio repertorio: non è un calciatore dal dribbling funambolico, è semplicemente più rapido di tutti nello spostare la palla. Non lo vedete cimentarsi in doppi passi o elastici, ma semplicemente correre più veloce di tutti. Lascia senza parole vederlo attaccare lo spazio, infrangendolo letteralmente in contropiede, oppure aggirando le difese avversarie, sfrecciando oltre il prototipo del “terzino inglese”, atleticamente ineccepibile e dai piedi di piombo. Kanchelskis irrompe in casa degli inglesi e li sconfigge con quella che da sempre era nota come la loro arma d’attacco e di difesa: l’atletismo. E se pensate che l’ala sovietica fosse solo una freccia imprendibile vi sbagliate di grosso, perché al calcio sapeva giocare eccome. Un destro delizioso dal quale pennellava traversoni sublimi, che rendevano tutto più semplice per i compagni che occupavano l’area: se non vi fidate, chiedete a Cantona. Potrebbe bastare, ma non è finita qui, perché durante quella stagione Kanchelskis colleziona 11 reti in 44 presenze complessive. Ce n’è per tutti i gusti, da meravigliose conclusioni volanti a incrociare sino ad incursioni palla al piede verso l’interno del campo terminate spaccando la porta. Nelle giocate di Kanchelskis non c’è niente di artefatto: è una bellezza cristallina, priva di impurità, così essenziale e così perfetta.

Lo United quell’anno è il riflesso della sua ala destra, una macchina da guerra che conquista di diritto il double, guadagnando la vetta del campionato nell’Agosto del ’93 senza più lasciarla per tutto l’arco della stagione.

Le cose per Kanchelskis sembrano andare nel migliore dei modi. La stagione successiva entra ulteriormente nel cuore dei tifosi, segnando una tripletta nel derby di Manchester. Tutto bene, forse fin troppo bene. Come nella più romanzesca delle storie d’amore, il sentimento vissuto risulta essere talmente intenso da consumare gli amanti.  Ed ecco che il Teatro dei Sogni diviene un teatro meno roseo, quasi drammatico. Dopo un girone d’andata sensazionale, concluso con 11 reti messe a segno, iniziano a circolare voci sul fatto che “l’ernia”, lamentata dal giocatore e mai diagnosticata dai medici, fosse un pretesto per lasciare Old Trafford. Ecco che l’avventura di Kanchelskis a Manchester si trasforma da romanzo calcistico a stomachevole telenovela. Al centro della scena subentrano numerosi personaggi: loschi procuratori, club che vantano percentuali sulla rivendita del calciatore ed anche minacce, come quelle ricevute dal patron dello United. Alla fine, dopo un vano tentativo di ingaggio da parte del Middlesbrough, l’offerta dell’Everton di 6 milioni di sterline accontenta tutti.

Giunto a Goodison Park, Kanchelskis ritorna a tessere il filo che sembrava essersi spezzato negli ultimi mesi al Teatro dei Sogni. L’ala russa si impone nuovamente ai suoi livelli, trascinando i Toffees al sesto posto, uno dei migliori posizionamenti in classifica nella recente storia del club. Sulle sponde del Mersey River mette a segno 16 reti complessive, venendo impiegato più sovente come seconda punta, dimostrando quindi anche una certa duttilità tattica.

Kanchelskis, in maglia Toffee, salta letteralmente un avversario.

Il giocatore visto a Goodison Park appartiene a un’altra dimensione, merita palcoscenici più importanti di quelli che l’Everton è in grado di offrirgli: ancora una volta, il battage mediatico attorno a un nuovo trasferimento del calciatore si fa pressante. Tanti rumours, ma nessuno che si fa avanti concretamente, almeno sino al Gennaio successivo. Vittorio Cecchi Gori vuole regalare a Firenze la ciliegina sulla torta a fronte di un mercato dalle grandi ambizioni, così decide di staccare un assegno da 15 miliardi di vecchie lire per aggiudicarsi le prestazioni del giocatore russo.

L’impatto con la Serie A non è dei più felici. Kanchelskis, imbrigliato nel tatticismo italiano, non riesce ad incidere. Va anche detto che nella massima serie, in quegli anni, militano difese di un certo livello (per usare un eufemismo), il che rende l’ambientamento immediato del talento sovietico un’impresa ancora più ardua. Complice anche un infortunio, conclude una magra stagione collezionando appena 9 presenze.

“Anno nuovo vita nuova”, così recita un proverbio, e così accade nella realtà. A Firenze arriva Alberto Malesani, uno che i calciatori offensivi li sa trattare, e bene. Andrei, dopo un anno sofferto, sembra tornato il calciatore devastante in Terra d’Albione, capace di scardinare gli schemi con la sua velocità. La culla del Rinascimento si innamora dell’artista sulla fascia: un idillio folgorante, destinato però ad infrangersi sulla “forbice” di Taribo West, dopo appena tre giornate di campionato. L’esito è nefasto: infortunio alla caviglia, almeno un mese di stop.

Kanchelskis in maglia viola.

Quando si tocca il fondo si può soltanto risalire, ma in questa storia il fondo sembra non esistere. La Russia, a poche settimane di distanza dal suo infortunio, deve giocare uno spareggio decisivo con l’Italia, valevole per l’accesso ai mondiali di Francia ‘98. Il CT russo non vuole rinunciare al proprio talento, così i tempi di recupero vengono forzati. Così, in una gelida Mosca, Andrei scende in campo dall’inizio: il clima ostile, la neve ed un terreno di gioco impresentabile rappresentano i segni premonitori di un tragico epilogo. Kanchelskis si scontra violentemente con Pagliuca, entrambe i giocatori restano a terra. Per il russo il verdetto è ancora più pesante: frattura della rotula sinistra, stop lunghissimo e carriera a rischio. Al rientro il giocatore è il fantasma di se stesso, la paura e le fragilità prendono il sopravvento su ogni pensiero di gioco. Il campione ammirato per una manciata di minuti si è perso; a malincuore, la Fiorentina, decide di cederlo.

Inizia da qui l’inesorabile declino fuoriclasse russo, che approda prima in Scozia, nei Rangers, dove a dir la verità ancora mostra qualche barlume della sua eccelsa qualità, mettendo anche a segno anche una rete nell’Old Firm. Segue un ritorno incolore in Inghilterra, dove veste le maglie di City e Southampton: alla fine dei giochi, per appendere gli scarpini, decide di tornare nella “madre Russia.”

Kanchelskis alza la Premier League vinta con lo United.

Nell’immaginario collettivo perdura un ricordo indelebile: quello del sovietico di ghiaccio, che fu portatore di magia in Terra d’Albione. Al secolo Andrei Kanchelskis, il tedoforo del Teatro dei Sogni.

 

 

 

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