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Robert Pirès, l’uomo che sussurrava ai palloni

4 ' di letturaAvete tentato ed avete fallito. Non importa. Tentate ancora. Fallite ancora. Fallite meglio.

Forse non serve scomodare il poeta per indovinare quello che frulla nella testa di Arsène Wenger nel giugno del 2000, ma comunque rende l’idea. Il fatto è semplice, finanche lineare. La missione certa. Porre fine all’egemonia del Manchester Utd. Come? Erigendo una squadra invincibile. Con una variante dirimente rispetto a quel Fail better suggerito da Samuel Beckett: tentare di nuovo, certo. Ma stavolta per vincere.

Il 4-4-2 dei miracoli sta prendendo forma nella testa dell’alsaziano, ma per interpretarlo servono gli uomini giusti. Servono dosi adrenaliniche di carisma, talento e sfrontatezza. Specie sulle fasce. Ed è qui che inizia la storia. Sedetevi, perché entra in scena il protagonista: Robert Pirès.

Highbury – North London
Robert Pires volteggia palla al piede

A scuola le cose non vanno esattamente come dovrebbero: mamma Maribel è una casalinga di origini asturiane, mentre papà Antonio fa l’operaio ed è portoghese. Mandar già il francese, con questo mix, diventa una passeggiata in un giardino disseminato di ostacoli di cemento e pezzi di vetro. Perché a Reims le cose possono essere tremendamente complesse, tra i banchi. Ma quando suona la campanella, quel bambino magro e slanciato entra in universo parallelo. Litiga con i libri ed i compagni di classe, però ha un amico speciale: il pallone che accarezza con i piedi diventa il suo principale confidente. Si allena con la scuola calcio di Saint Anne Chatillon e, fin dalla più tenera età, estrae numeri con la cadenza di un distributore di Pepsi gelate nel bel mezzo del Mojave. Quel piccolo stadio dove si allena, qualche anno più tardi, porterà il suo nome.

Quando è con gli amici, o da solo, preferisce indossare la maglia del Benfica, dono di papà. Anche se, a dire il vero, a volte racconta a mamma di fare il tifo anche per il Real Madrid, per farla felice. Pirès cresce in fretta, inizia a giocare per il Reims e, da lì, passa al Metz. E’ la metà degli anni ’90, l’epoca che consegna al calcio francese una piccola favola con gli ammenicoli. P + P: la coppia del goal porta le iniziali di Pires e Cyrille Pouget. “Era semplicemente geniale – racconta il compagno dell’epoca – perché sapeva sempre dove mi trovavo, quali movimenti avrei fatto. Lui e Zidane sono stati i migliori con cui ho giocato“.

Il premio è la convocazione in nazionale ed una storia che si diverte a scrivere un mondiale vinto in casa, il tripudio al Saint Denis con un 3-0 in faccia agli Dei sgualciti del Brasile. Da un tetto all’altro, dal Mondo all’Europa: a Rotterdam, nel 2000, Robert alza al cielo anche il titolo continentale, ai danni degli azzurri. Ma il meglio, come cantava il Liga, deve ancora venire. In mezzo, due anni al Marsiglia, ancora una volta all’insegna di giocate illegali, imbucate geniali, dribbling ricamati ed assist con su scritto “Spingi qui“.

Dall’altro lato della Manica un altro francese sogna di vincere, ma la concorrenza spietata del Man Utd, fin qui, ha anestetizzato ogni cosa. A Wenger serve un gruppo di uomini geniali e affidabili: gli serve una piccola colonia francese. Così chiama al suo cospetto Lauren, Clichy, Henry, Viera e Pires e pure Kolo Touré, uno che diventa praticamente francese adottivo. Tratto in comune? Tolto Pires, sono quasi tutti stati bocciati dalle loro squadre.

Patrick Viera, Sol Campbell e Robert Pires: what a trio!

L’armata a tinte bleu divora ferocemente la Premier League 2003/04, guadagnandosi l’appellativo di Invincibles. Pirès è la freccia più raffinata in una faretra tracimante talento. Nel 4-4-2 dell’Arsenal lui sta largo a destra: le movenze di un leopardo si sommano ad intuizioni mai banali, costellate da 14 pesantissimi goal e da tonnellate di assist. Sua maestà Henry ringrazia: sa bene che a Robert deve più di una cena. Il bambino che si confidava con il calcio è ancora lì, ma oggi è diventato un uomo che – ad Highbury o su qualsiasi altro campo di battaglia – al pallone sussurra, fluttuando sul campo. Ai Gunners resterà dal 2000 al 2006: abbastanza per inventare calcio e creare strade fertili dove intorno ci sono soltanto macerie a perdita d’occhio.

Wenger e Pires: a true love story

Le ultime pennellate le divide tra Villareal e Aston Villa, ma un periodo come quello nel Nord di Londra non tornerà più. “Era davvero in gamba – dice Arsene, ricordandolo con un nodo che avviluppa la gola – e me ne accorsi subito. Lo notai quando giocava al Marsiglia e decisi di prenderlo per sostituire Marc Overmars, non esattamente uno qualsiasi”. La sliding door della vita per Robert. E per l’Arsenal, of course.

Robert Pirès: a real Icon

 

 

 

 

 

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Paolo Lazzari
Paolo Lazzari
Giornalista

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