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Mi chiamo Mario e questa è la storia della mia folle passione per il Liverpool

9 ' di letturadi Mario Djuninski

È davvero possibile stravolgere la propria vita solamente per passione verso una squadra di calcio? La risposta è sì…è possibile… e questa è la mia incredibile storia d’amore con il Liverpool FC.

Mi chiamo Mario Djuninski e sono un ragazzo nato in Bulgaria nel maggio del 1989, ma cresciuto principalmente in Italia, precisamente ad Anzio. Sono tifoso del Liverpool da quando ricordo di esistere. Questo è uno di quegli amori a prima vista, perché la prima volta che ho visto il Liverpool giocare me ne sono innamorato perdutamente ed è stato come se avessi sempre tifato per quella squadra, amato quei giocatori e ammirato quel colore rosso fuoco che mi scorreva nelle vene.

Tutto inizia tanti anni fa: era esattamente il 18 novembre 1997, ero un bambino di 8 anni e la partita “incriminata” era Liverpool – Grimsby Town della coppa di lega inglese. Vivevo in Bulgaria e, a quei tempi, riuscire a vedere una partita di calcio inglese era un evento più unico che raro. Ma quel giorno il destino ha voluto che fossi davanti alla tv e che vedessi la partita che mi avrebbe segnato per tutta la vita. Il match finì 3 a 0 per noi con una tripletta micidiale di un certo Michael Owen. Rimasi subito colpito dal talento inimmaginabile di questo ragazzo appena diciottenne e dalla sua classe cristallina. Quelle maglie rosse mi entrarono in testa senza uscirne mai più. Ovviamente ai tempi ero solo un bambino che capiva pochissimo di calcio e non potevo mai immaginare quanta importanza avrei dato al football negli anni successivi della mia vita.

La stagione che ricordo con maggior piacere nei miei primi anni da tifoso è senza dubbio quella del 2000/2001. Quella magica season iniziò subito con un trofeo a febbraio. Vincemmo la Worthington Cup (attuale Coppa di Lega) ai rigori contro il Birmingham e ricordo bene che vidi quel match nella mia cameretta a Sofia, con addosso la maglia di Owen con il numero 18. Quella maglia, nonostante non fosse originale, mi rendeva felice lo stesso, perché era la mia prima maglia del Liverpool e aveva un grandissimo valore affettivo. Me la comprò mia mamma in un famoso mercato bulgaro. La stagione proseguì con le vittorie della FA Cup, Coppa Uefa, Supercoppa inglese e Supercoppa Europea. Cinque trofei in una stagione, un’impresa riuscita veramente a pochissime squadre in tutta la storia. Ricordo benissimo l’emozione che provai nella finale di FA Cup contro un grande Arsenal: perdevamo 1-0 fino all’83’ senza aver quasi mai tirato in porta e pian piano s’avvicinava la fine. Poi all’improvviso Owen uscì come un fulmine a ciel sereno e, con una strepitosa doppietta, portò il trofeo più vecchio del mondo nel museo di Anfield. Ero un bambino al massimo della felicità e ricordo che a fine partita andai fuori sul piazzale a giocare con i miei amici per provare a replicare le gesta della fantastica doppietta del Wonder Boy. Era il mio eroe ed ero follemente innamorato delle sue qualità calcistiche. A fine anno lui vinse meritatamente il Pallone d’oro come miglior calciatore europeo dell’anno.

Il 2001 è stato per me un anno importante anche a livello personale, perchè insieme ai miei genitori e mio fratello ci siamo trasferiti a vivere in Italia: il mio papà aveva trovato un lavoro importante nell’ambito dell’edilizia e non volevamo perdere questa occasione per un futuro migliore. 

E proprio in Italia, precisamente allo stadio Olimpico contro la Roma in Champions League, il 5 dicembre 2001, vidi per la prima volta nella mia vita una partita del LFC dal vivo. Fu un’emozione indescrivibile, nonostante il risultato, uno scialbo 0-0. Vedere i miei idoli da così vicino fu quasi surreale, non realizzavo cosa stava succedendo. Uno dei miei primi sogni nella vita ormai era realizzato, soprattutto grazie al mio papà, che fece dei sacrifici assurdi solo per avere quei benedetti tickets per la partita. Si prese un giorno libero dal lavoro, andò a Roma alle 6 di mattina e si fece 10 ore di fila davanti alle casse, tutto questo solo per vedere felice il figlio. Eeeeh cosa non si fa per i propri figli ? grazie pa’!!!!

Continuare a seguire le partite del Liverpool anche dall’Italia non era comunque semplice, non avendo a casa i vari Stream e Tele+ ed io, da buon malato Red, non volevo perdermele alla TV. Ho provato di tutto per trovare un modo: per tanto tempo ho seguito i risultati della Premier sul Televideo. Ricordo che un giorno, per puro caso, trovai vicino casa mia ad Anzio un centro di scommesse dove trasmettevano le partite del calcio estero. Non sapevo che modo potevo inventarmi per riuscire a guardare il Liverpool. La sala era sempre piena di scommettitori che si giocavano una fortuna puntando sulle partite, ma a me non interessava nulla di loro, io volevo soltanto gustarmi la mia squadra. E alla fine ebbi un’idea geniale!! Feci amicizia con il manager della Snai, che mi diede il permesso di guardare i Reds ogni weekend. Che gran mossa da furbone!!!

Gli anni passavano e nell’estate 2004 vendemmo il mio idolo Owen al Real Madrid. Ero distrutto dopo quella notizia: pensare che il Wonder Boy potesse indossare un’altra maglia diversa da quella rossa era una botta tremenda per me. Ricordo che ero in spiaggia ad Anzio quando ricevetti la notizia. I miei amici cercarono in qualche modo di consolarmi, ma come potevo essere consolato? Veramente una gran delusione. Ma la vita continuava e il mio Liverpool, nonostante l’addio di Owen, diventò sempre più forte e competitivo. La stagione successiva vincemmo la Champions League ad Istanbul, nella notte più folle della storia del club, una notte in cui tutte le gerarchie si ribaltarono e dove emerse un nuovo ed unico eroe: Steven Gerrard. Il giorno della finale era anche il mio sedicesimo compleanno, cosi la data 25 maggio 2005 rimase impressa nella mia mente per tutta la vita. Vidi la partita a casa mia ad Anzio e a fine primo tempo sul 3-0 per il Milan ero sul divano abbattuto e triste. Ero distrutto e rifiutai persino di mangiare la torta preparata da mia mamma apposta per il mio compleanno. Ma dentro di me avevo una sensazione strana e bella, una sensazione che mi sussurrava di non mollare, di sostenere ancora di più i ragazzi e di credere nella rimonta quasi impossibile. E il destino era con noi come non mai. Nel secondo tempo arrivarono tre gol in 6 minuti per farmi tornare quel maledetto sorriso sulle labbra e farmi felice e speranzoso. Vincemmo ai rigori, in una notte magica per tutto il popolo Red. Quel “You’ll never walk alone” cantato dai nostri supporters a fine match ce l’ho ancora scolpito nella memoria e fu un momento di gioia assoluta. Il nostro inno dice di non camminare mai soli, nonostante la tempesta, nonostante le difficoltà, che ci sarà sempre un cielo sereno alla fine e che non sarai mai solo, in nessun’occasione. Ed io in quei momenti mi sentivo proprio così! Ma che compleanno meraviglioso mi hanno regalato? Ma come si fa a non amare questa squadra? Ormai il Liverpool mi era entrato fino al midollo e uscire da questa “malattia” era ormai impossibile. Ricordo il giorno dopo, andai a scuola tutto vestito di rosso, con maglia e sciarpa addosso, mi ero anche disegnato la faccia con dei pennarelli rossi. I miei compagni di classe cantavano a squarciagola e festeggiavano insieme a me, anche se non gliene fregava nulla, ma solo per partecipare al momento di gioia. Pura pazzia per un 16enne ormai convinto e speranzoso che quella città nella contea del Merseyside un giorno poteva essere il mio futuro. A scuola ormai mi conoscevano tutti per questo amore folle che avevo e mi chiamavano Mario Liverpool. A me onestamente non dispiaceva.

Gli anni a seguire il Liverpool diventava fortissimo, con Benitez che ormai aveva preso le redini della squadra per farla diventare una delle più forti in Europa. Nel 2007 perdemmo ingiustamente la finale ad Atene, sempre contro il Milan, nonostante una buonissima prestazione. Ogni stagione che passava, la mia smania di visitare quel posto magico chiamato Anfield si faceva sempre più grande. Non vedevo l’ora di entrare dentro quel tempio sacro e fermare il tempo. Dovevo aspettare altri 3 anni e finalmente a settembre del 2010 ho avuto la possibilità di andare per la prima volta a Liverpool. Appena scesi dall’aereo sentivo già un odore diverso, una sensazione divina mi stava attraversando tutto il corpo. Santo Dio, ero a Liverpool!!! Ero nella città dove avevo sempre desiderato essere. Non mi sembrava reale tutto questo, mi sentivo come se fossi dentro una palla magica a sognare! La partita di campionato nella quale dovevo esordire per la prima volta in mezzo ai Kopites fu Liverpool – Sunderland e non vedevo l’ora che l’incontro cominciasse. A quei tempi andavamo abbastanza male, perchè c’era un allenatore diverso (Hodgson) e la squadra doveva ancora assorbire i meccanismi nuovi. In quella indimenticabile trasferta ebbi la fortuna di conoscere il Liverpool Italian Branch, un gruppo di tifosi italiani del LFC, con cui avevamo in comune questa passione folle per la squadra. Da lì ho fatto le prime conoscenze e negli anni a venire ho stretto un bellissimo rapporto con tante persone dal gruppo. In quei meravigliosi 5 giorni a Liverpool mi sono goduto ogni singolo angolo di questa città mozzafiato. Sapevo che fosse carina, ma non mi sarei mai immaginato di innamorarmene. E finalmente stava arrivando quel sabato pomeriggio, io stavo smaniando di brutto. Ed eccoci, arriviamo con il taxi e in lontananza vedo Anfield, oh mio Dio sto svenendo!!! Prima del match, un rapido giretto turistico per vedere i pub tradizionali intorno allo stadio e per goderci una bella birra fresca (scherzavo io sono astemio ahah). E poi arrivò quel momento straordinario, quel momento unico in cui salii gli scalini della tribuna Upper Centenary ed… entrai dentro Anfield! Provai un’emozione pazzesca, il mio sogno di visitare quel magico tempio del calcio finalmente si era realizzato. Scese una lacrimuccia…!  Non è vero, piansi come un bambino in quel momento, guardavo quei seggiolini rossi e piangevo, guardavo l’erba del terreno e piangevo… insomma per una buona mezzoretta non riuscii a fermarmi. Durante il riscaldamento fissai attentamente il warm up di Gerrard e rimasi colpito dal talento e dalla facilità di calcio con entrambi i piedi che aveva questo ragazzo. Era il mio idolo ormai da diversi anni e lo ammiravo come un artista ammira la Mona Lisa. Gerrard era qualcosa di più di un semplice capitano, era un’istituzione assoluta. Un centrocampista così forte e completo probabilmente non nascerà mai più. La partita finì 2-2 e il secondo gol fu di… Stevie G appunto, con esultanza sotto la tribuna dove eravamo seduti. Meglio di un film,  quindi non mi restava altro che farmi un altro pianto per quel gol di Captain Fantastic. Che pazzia immensa! Ricordo ancora il segno della scivolata lasciata sul terreno come marchio di fabbrica della sua esultanza! Oh Stevie mio, ma quanto sei immenso??? Un mostro sacro sceso sul pianeta Terra per insegnare il gioco del calcio.

Durante questa prima trasferta la mia convinzione e voglia di trasferirmi un giorno in questa meravigliosa città cresceva sempre di più. Volevo venire qui a vivere, lavorare e crearmi una famiglia. Anche se sono nato in Bulgaria, io mi sentivo scouser dentro, il mio cuore parlava scouse. Gli scouser sono gli abitanti di Liverpool e sono persone con un grandissimo cuore e senso dell’umorismo, sempre pronti ad aiutarti nel momento del bisogno. Sono molto orgogliosi della loro provenienza e tradizione ed essere scouser per loro è un motivo di vanto e orgoglio. Ebbene sì, potevo capirli benissimo, perchè anche io mi identificavo in quelle cose, nonostante non fossi di qui. Il mio obiettivo era uno: venire a vivere qui a tutti i costi. Ci provai 2 anni dopo, nel 2012, ma tra problemi burocratici e cose varie non ero ancora pronto. Intanto iniziavo a frequentare Anfield sempre più spesso, appena avevo tempo libero prenotavo il volo verso la città che mi rendeva felice. Vivevo ad Anzio e facevo il gelataio, ma questo non mi impediva di salire su appena avevo la possibilità. Cosi nella stagione 2014/2015 feci una delle più grandi pazzie che potessi mai fare, assistendo a ben 14 partite casalinghe ad Anfield, nonostante abitassi e lavorassi ancora in Italia. Come facevo? Prendevo l’aereo ogni 2-3 settimane da Roma Ciampino, atterravo all’aeroporto di Liverpool o qualche volta anche a Manchester, scendevo dall’aereo e poi dritto verso Anfield per gustarmi il match e dopo la partita tornavo immediatamente a casa. Tante volte mi fermavo a dormire anche all’aeroporto stesso, perchè avevo il volo la mattina seguente. Cosi per 14 volte nella stessa stagione! Ormai il mio amore e la dedizione verso il Liverpool avevano superato ogni limite di follia e nessuno poteva fermarmi e soprattutto lo feci in una stagione dove la squadra andava abbastanza male, tra il quinto e l’ottavo posto della classifica. Ma sinceramente non m’importava di questo, m’importava solamente di essere presente nella mitica curva Kop e sostenere i ragazzi! Tanti mi dicevano che ero un folle, che spendevo tanto e che dovevo pensare ad altre cose, ma io me ne fregavo di quello che dicevano. Il Liverpool contava più di tutto, facevo questi “sacrifici” con cuore e passione, quindi non mi pesavano minimamente. Il Liverpool è una religione e io dovevo seguirla nel suo tempio. Quando ami la tua squadra cosi pazzamente, nessuno può fermarti o farti cambiare idea. Questo significa il Liverpool FC per me: amore, passione, gioia e follia. Il leggendario Bill Shankly, nostro allenatore negli anni sessanta e settanta, disse queste frasi: “Il tifoso del Liverpool ama la sua squadra come ogni uomo dovrebbe amare la sua donna. A prescindere dagli errori, nonostante i tradimenti. Anche quando ti fa incazzare. Un normale cittadino ha una professione e per hobby tifa una squadra, un tifoso del Liverpool nella vita fa il tifoso del Liverpool e il lavoro è soltanto un mezzo per procurarsi i soldi per andare ad Anfield!!!” Ecco queste parole mi rappresentano proprio al massimo!

La stagione successiva del Liverpool fu finalmente il momento in cui decisi di fare il grande passo. Mi sentii pronto e maturo per intraprendere questa nuova vita nella città che amavo. Non è stato facile lasciare soprattutto la mia famiglia, i miei amici e un lavoro a tempo indeterminato in Italia e cominciare tutto da zero, ma questo amore così viscerale non mi lasciava scampo (…).

TO BE CONTINUED…

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