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The Footballers Batallion, quando i calciatori andarono veramente in guerra

10 ' di letturaQuando si decide di uscire da Parigi in direzione di Lilla ci si tuffa nel pieno della campagna francese. Distese apparentemente infinite di terreni coltivati, intramezzate da piccoli scorci di bosco, accompagnano il viaggio verso il nord della Francia. A metà strada ci si imbatte nella Somme, che quasi parallela alla Senna scorre placida fino alla Manica, tagliando tutta la regione. I paesini che si incrociano sono piccoli, diradati, poche case costruite con mattoncini rossi e tetti spioventi raggruppate intorno a una chiesa.

Maricourt, Maurepas, Combles, Guillemont… Se ne passano a decine di questi piccoli centri contadini, tanto da non distinguerli più uno dall’altro, fino ad arrivare a Longueval, a occhio un paese come gli altri. Ma la prima impressione stavolta è traditrice, innanzitutto per l’impressionante presenza di troppi cimiteri: almeno quattro o cinque luoghi di eterno riposo perfettamente conservati in mezzo ai campi di grano, dove precise file simmetriche di lapidi bianche riportano spesso più nomi anglosassoni che francesi. Al bivio per Martinpuich, all’ingresso del villaggio, una grande croce di legno è piantata su una piattaforma circolare, alla cui base è intagliata un’iscrizione sempre in inglese per ricordare le truppe indiane.

Entrati in paese si trova Place Bulte, praticamente l’unica piazzetta presente, adornata da due statue bianche. La prima di un soldato, appoggiato al suo fucile come fosse un bastone, con la canna piantata in terra; l’altra di un uomo con un elmetto da fante in testa, che suona la cornamusa con la schiena ricurva. Infine, seguendo Rue de Péronne e uscendo dall’abitato, si arriva al limitare del Bosco di Delville. Qui, superato un piccolo cancello di legno, ci si incammina nello spazio creato all’interno della piccola foresta di querce e betulle per arrivare a un grande memoriale dedicato al Sudafrica. Dall’altra parte della strada c’è un altro cimitero, il più grande di tutti quelli trovati finora.

Il Bosco di Delville è stato protagonista di una delle azioni belliche più cruente di tutta la Prima Guerra Mondiale, nel quadro delle offensive lanciate dagli Alleati durante la Battaglia della Somme nell’estate del 1916. Alla fine delle operazioni, i primi giorni di settembre, gli inglesi riuscirono finalmente a tenere la zona, riuscendo a scavare una trincea difensiva oltre Longueval. Il villaggio però era stato ormai raso al suolo dalla furia dei combattimenti casa per casa, mentre del bosco rimanevano solo cenere e cadaveri. Dei più dei 3.000 soldati sudafricani entrati per la prima volta in battaglia nell’esercito alleato, solo 600 uscirono vivi da questo piccolo scorcio d’inferno, mentre il 26° reggimento tedesco contò 250 sopravvissuti alla fine delle operazioni.

Nel 2010 una piccola lapide nera venne posta a poche decine di metri dal cimitero del Bosco di Delville. Incisa a grandi lettere la dicitura “The Footballers Batallion”, a ricordo degli uomini del 17° e 23° battaglione del Reggimento Middlesex caduti durante la Grande Guerra. Alla base della lapide invece c’è una frase di Jack Borthwick, giocatore del Millwall che subì una gravissima frattura al cranio proprio in quel punto, poche parole che ricordano come il sarcasmo tipico del british humour non abbia confini: “Questa guerra è peggio di una stagione intera di partite di coppa”.

Lo scoppio della guerra

Il primo decennio del 1900 vide il Vecchio Continente sorretto da un debole equilibrio diplomatico. I due grandi schieramenti, chiamati Triplice Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) e Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia), si trovarono a dover gestire quella che fu ricordata successivamente come la “polveriera d’Europa”, i Balcani politicamente e territorialmente divisi tra gli imperi dell’epoca. L’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914 segnò la fine dei sogni di pace.

L’Inghilterra fu una delle ultime grandi potenze a entrare in guerra, il 4 agosto dello stesso anno. Nonostante l’opinione pubblica fosse ormai molto favorevole a combattere gli Imperi Centrali, soprattutto quello tedesco, il governo britannico aspettò che le armate del Kaiser Guglielmo II invadessero il Belgio, neutrale e sotto difesa inglese, prima di dichiarare l’inizio delle ostilità. Molte persone si riversarono in centro a Londra per festeggiare l’evento, e chissà quante se ne saranno pentite nei quattro anni successivi.

Iniziò istantaneamente la conversione delle fabbriche per la produzione di materiale da guerra, mentre partì la corsa per arruolare più soldati possibili: vennero invitati a combattere tutti gli uomini di buona costituzione dai 19 ai 35 anni, e i volontari furono tanti che al 12 settembre quasi 500.000 reclute erano già state inserite nei ranghi dell’esercito. La propaganda ebbe un ruolo fondamentale nel mantenere forte il sentimento patriottico e il morale della popolazione, così che venne istituito l’Ufficio della Propaganda di Guerra. Il governo diede precise disposizioni su cosa i giornali potessero pubblicare e cosa fosse vietato, e reclutò alcuni degli scrittori più famosi dell’epoca come H.G. Wells, Rudyard Kipling e Sir Arthur Conan Doyle.

Anche lo sport fu, come sempre, uno dei mezzi principali di diffusione della propaganda bellica. Fuori dai campi era solito trovare membri dell’esercito con in mano manifesti per convincere giocatori e tifosi ad arruolarsi. Ma non tutti si comportarono allo stesso modo: mentre rugby e cricket fermarono subito qualsiasi attività, la Football Association decise invece di proseguire la stagione 1914/1915. I calciatori avevano raggiunto lo status di professionisti, e quindi pagati regolarmente contratto dai club, nel 1885, ma il contratto standard dell’epoca aveva durata annuale, così la scelta se arruolarsi nell’esercito dipendeva molto di più dai proprietari delle squadre che dalla volontà dei giocatori.

La formazione del Footballers Batallion

Il dibattito sulla necessità del reclutamento dei giovani e atletici calciatori divenne furioso col passare dei mesi. Il campionato di Football League, iniziato il primo di settembre, continuò regolarmente a svolgersi e attirò sempre un grande numero di spettatori, mentre i membri delle squadre amatoriali erano già corsi in massa ad arruolarsi per il Paese. L’intero Corinthian FC, dai giocatori agli allenatori, decise di ingrossare le fila dell’esercito britannico, dopo aver evitato un attacco tedesco di ritorno da un tour in Sudafrica. La squadra londinese, una sorta di Harlem Globetrotters del calcio dell’inizio secolo, perse ben 31 persone durante la guerra.

I giornali iniziarono a scagliarsi violentemente contro il football. L’Evening News decise di non stampare più la parte di giornale dedicata al calcio. Il Times ricevette una lettera, che pubblicò abbinata a un editoriale dai toni molto simili, in cui si leggeva: “Vediamo con indignazione e allarme come la Football Association persista nell’agire per il bene del nemico”. Venne addirittura richiesto che Re Giorgio V ritirasse il patrocinio alla FA. L’Ufficio della Propaganda mobilitò Sir Arthur Conan Doyle, che scrisse: “C’era un momento per fare tutto quello che si vuole. Un momento per giocare, un momento per fare business, un momento per la vita familiare. Ma ora è tempo di fare una cosa sola, e questa è la guerra. Se un giocatore di cricket ha un occhio buono che guardi attraverso la canna di un fucile, se un calciatore ha forza nelle gambe che serva e marci nel campo di battaglia”.

Nonostante alcune voci fuori dal coro, come quella del settimanale The Athletic che ricordava come lo sport potesse essere utile per sollevare il morale della popolazione dopo giorni di preoccupazione, ormai la propaganda era arrivata al punto che i giocatori o i tifosi che non erano ancora arruolati erano definiti come “simpatizzanti tedeschi”, “codardi” e addirittura “effeminati”. La fine dell’anno vide Lord Kitchener, Segretario di Stato alla Guerra del governo inglese, prendere una decisione finale sulla questione: incaricò il deputato Sir William Joynson-Hicks di creare il 17° battaglione del Reggimento Middlesex, dove infilare i calciatori che avrebbero voluto combattere. Solo un mese prima venne creato un raggruppamento simile dall’esercito scozzese grazie soprattutto all’Hearth of Midlothian, al tempo la miglior squadra di Scozia, i cui giocatori decisero di arruolarsi tutti insieme e convinsero molti altri professionisti a seguirli. L’incontro per la creazione del 17° battaglione avvenne il 15 dicembre 1914 alla Fulham Town Hall di Londra, alla presenza di numerosi calciatori e presidenti delle squadre.

Joynson-Hicks assicurò ai giocatori alcune agevolazioni: innanzitutto le nuove reclute ancora sotto contratto con una squadra avrebbero avuto il sabato libero fino alla fine della stagione, così da far finire il campionato mentre le truppe erano ancora sotto addestramento in patria; inoltre, dove possibile, gli ufficiali del battaglione sarebbero stati scelti tra gli allenatori e lo staff delle squadre, così che i giocatori venissero guidati in guerra da chi già li guidava in campo ogni weekend; infine, sotto richiesta del presidente del Fulham Hayes Fisher (deputato anche lui), Joynson-Hicks fece sapere che il governo avrebbe messo a disposizione dei fondi per la copertura assicurativa dei calciatori in caso di infortuni durante il conflitto che impedissero il ritorno al professionismo.

Alla fine dell’incontro vennero invitati a farsi avanti i primi cinque volontari del 17° battaglione. Il primo a firmare fu Fred Parker, centravanti e capitano del Clapton Orient (che diventerà in seguito Leyton Orient), a cui seguirono Archie Needham del Brighton e Frank Buckley del Bradford. Gli ultimi a chiudere il podio furono Hugh Roberts e Frank Lindley del Luton. Dopo gli applausi di rito però continuarono ad arrivare nuove reclute, così che la conta finale fu di ben 35 giocatori arruolati. Visto il successo inaspettato dell’iniziativa, i nuovi soldati vennero fatti marciare tra due ali di folla fino alle baracche dell’esercito a Chelsea, dove ricevettero la paga standard da soldato semplice e un permesso di dieci giorni prima di iniziare l’addestramento. Buckley aveva già esperienza militare, così fu subito nominato tenente.

Il 17° battaglione rimase in Inghilterra fino alla fine del 1915. Già a marzo si erano arruolati 122 calciatori professionisti: l’intera rosa del Clapton Orient, seguendo le orme del capitano della squadra, e otto giocatori del Luton furono i nuclei più grandi. Ma i numeri continuarono a crescere, grazie a membri dello staff e semplici tifosi che continuarono a ingrossare le fila, arrivando quasi a 1500 soldati. Si rese così necessaria la creazione di un secondo battaglione nel mese di giugno. Tutte le squadre di Londra videro partire almeno un giocatore, i più famosi il portiere del West Ham Joe Webster, l’ex Tottenham Walter Tull e soprattutto Vivian Voodward, attaccante del Chelsea da 23 presenze e 29 gol con la maglia della nazionale. Cinque giocatori arrivarono al grado di ufficiale durante la permanenza nel battaglione: tra questi Tull divenne secondo tenente (probabilmente il primo ufficiale di colore della storia dell’esercito di Sua Maestà), Voodward capitano e Buckley guadagnò il grado di maggiore.

L’arrivo in Francia del battaglione

Con i primi giorni del 1916 arrivò lo sbarco del Footballers Batallion sulle coste francesi. Una prima situazione di stallo in trincea, poche settimane dopo, vide la morte dei primi quattro soldati del battaglione e il ferimento di altri 30. Vivian Voodward si trovò la coscia destra squarciata da una granata, e dovette esser riportato in Inghilterra per le cure necessarie.

L’atteggiamento nei confronti del football però era cambiato, soprattutto da parte degli alti ufficiali dell’esercito. Questi avevano scoperto che il calcio era un tonico incredibile per il morale delle truppe, sia per chi rimaneva annoiato tra le riserve che per gli uomini appena tornati da una settimana di terrore in trincea. “L’effetto benefico” dello sport fu evidente a tutti durante la tregua di Natale del 1914, quando 100.000 soldati britannici e tedeschi avanzarono nella terra di nessuno per scambiarsi auguri e gesti di fratellanza, prima di improvvisare lunghe partite di calcio e messe per i compagni caduti in entrambi gli schieramenti.

Il calcio fu un’attività talmente importante per le truppe britanniche che il comando alleato iniziò a requisire i terreni una volta coltivati dei contadini francesi proprio per costruirvi rudimentali campi di football, e organizzò una serie di competizioni tra i vari battaglioni. La presenza di calciatori, professionisti o amatoriali, in quasi tutti i raggruppamenti dell’esercito britannico al di fuori del Footballers Batallion aiutò lo sviluppo di questi tornei, che vennero però cannibalizzati dal 17° battaglione una volta arrivato in Francia. La finale di uno di questi “Divisional Tournament” nell’aprile 1916 finì con un sonoro 11-0.

Il carattere dei giocatori del 17°, e in generale di tutti i calciatori in guerra, venne spesso ammirato dagli ufficiali. Il colonnello Fenwick, a capo del battaglione, scrisse parole di ammirazione per il forte legame derivante dal football che compattava incredibilmente le sue truppe, mentre il generale Harington lodò i soldati che riuscivano a recuperare velocemente da un turno da incubo in trincea grazie alle partite di calcio, dopo aver condotto assalti all’arma bianca davanti all’artiglieria nemica o aver difeso fino alla morte un punto fondamentale per lo scacchiere tattico.

Il primo di luglio iniziò la Battaglia della Somme. Tre giocatori dell’Hearth of Midlothian morirono il primo giorno di scontri, e altri cinque li seguirono da lì alla fine dell’offensiva. Il Footballers Batallion, fino a quel momento impiegato relativamente poco, non partecipò invece alle fasi iniziali della battaglia. Venne però dislocato a Loungeval, così che il suo primo ingaggio importante fu il 27 luglio, due settimane dopo l’inizio della Battaglia del Bosco di Delville. La conquista del piccolo spicchio di foresta e la sua successiva difesa tolsero la vita a talmente tanti appartenenti del gruppo che dieci giorni dopo dovettero arrivare 716 nuovi soldati per rimpolpare i ranghi. Tra i feriti ci fu anche il maggiore Buckley, colpito da uno shrapnel al petto che arrivò a perforargli un polmone. Quando lo misero su una barella di passaggio i suoi commilitoni pensarono non arrivasse alla notte, invece sopravvisse e tornò in battaglia l’anno successivo. Dovette lasciare definitivamente il fronte per colpa di un lancio di gas velenoso da parte dei tedeschi, e i suoi polmoni furono talmente danneggiati dalla guerra che non poté più giocare a calcio.

Nonostante lo scontro nel Bosco di Delville fu una delle più sanguinose operazioni dell’intera Battaglia della Somme (dove persero la vita almeno un milione di soldati), questa offensiva non fu la più pesante per il battaglione. Alcuni dei suoi migliori elementi vennero a mancare in altri frangenti: Walter Tull guidò un assalto con 26 uomini dietro le linee italiane sul Piave prima di morire nel 1918 di nuovo dislocato in Francia; Jimmy Speirs, leggenda del Bradford e dei Rangers, perì nel 1917 a Passchendaele dopo aver guadagnato una medaglia al valore; l’ex portiere del Galles e dell’Arsenal Leigh Roose, uno dei più forti della sua generazione, riuscì a fuggire avvolto nel fuoco dopo un attacco col lanciafiamme, sopravvisse e rifiutò tutte le cure fino a che non svenì lanciando granate dalla trincea, ma alla fine non uscì vivo dalla Battaglia della Somme; Donald Bell, il primo calciatore inglese ad arruolarsi per la guerra (in un altro battaglione) partì più volte da solo dalla trincea per attaccare pezzi di artiglieria avversaria, ma all’ennesima sortita temeraria venne ucciso e le sue imprese gli valsero postuma la Croce di Vittoria.

Cento anni fa la Prima Guerra Mondiale provocava la morte di oltre 10 milioni di soldati e di quasi 8 milioni di civili. Una piccola parte di questi erano calciatori: 3.000 professionisti di tutte le nazionalità persero la vita, 100 dei quali prestarono servizio nel Footballers Batallion. Ovviamente oggi è impossibile (e probabilmente ingiusto) immaginare i migliori giocatori del mondo impegnati sul campo di battaglia, soprattutto vista l’immagine sempre brillante dei calciatori odierni attenti al denaro prima di tutto. Certo è che in un mondo in cui ormai l’apparenza conta quasi più della sostanza, la figura del giocatore di calcio cozza fastidiosamente con il ricordo di questi ragazzi trascinati nell’orrore della guerra nonostante sapessero solo tirare calci a un pallone.

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