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“Simply the Best”: George Best, l’uomo che sbeffeggiò Cruyff ma venne scartato a 15 anni…

10 ' di lettura

Nel lontano 1989 Tina Turner prendeva una canzone di Bonnie Tyler, che invano aveva tentato la scalata nelle classifiche l’anno prima, portandola al successo che faceva esattamente così:

“You’re simply the best, better than all the rest”.
Che tradotto significa: “Sei semplicemente il migliore, migliore di tutto il resto”.

The Best appunto, e no, non abbiamo fatto un errore di battitura, avete già capito di chi stiamo per cominciare a parlare: di quel ragazzo con la maglia numero 7, nato a Belfast nel Maggio del 1946 e scomparso (ahinoi) a Londra nel Novembre 2005: George Best.

George cresce a Cregagh un quartiere nell’est di Belfast, la capitale della sua Irlanda del Nord che tanto ci tornerà comoda più avanti. Ma torniamo a noi… Il piccolo ed ancora ignaro di essere uno dei calciatori più affascinanti e talentuosi della storia del calcio fa parte di una famiglia numerosa: quattro sorelle, il padre Ian (che si è spento tre anni dopo suo figlio nel 2008) e la madre… Deceduta nel 1978 per una malattia dovuta all’alcolismo. Vi dice niente?

È tifoso del Glentoran F.C., la squadra di Belfast che, ironia della sorte, lo scarta a 15 anni perché definito troppo piccolo e leggero, tralasciando la sua altissima tecnica ed il fatto che quella “leggerezza” lo rendeva fluttuante tra i difensori, nel possesso palla, nel tiro in porta. Il più grande abbaglio della loro storia, senza dubbio.

Ma quando una stella brilla così tanto, il suo ammiratore arriva puntuale. È il 1961, Robert “Bob” Bishop, un uomo innamorato dei Border Collie e soprattutto delle sue Cocorite, che si posavano sulla spalla durante la consueta lettura del giornale. Lo immaginiamo così in una congiunzione astrale in quel pomeriggio: il cappotto elegante, la Cocorita in spalla, George Best negli occhi, l’appunto sul taccuino ed un futuro già scritto.

Il buon vecchio Bob era cresciuto a pane, fabbrica in un cantiere navale e pallone. Non aveva giocato a livello professionistico ma, la sua sconfinata passione, lo aveva portato a possedere il dono di capire quando un qualcosa brillava nei dintorni dell’umida Belfast, e quel pomeriggio scrisse subito un telegramma al Manchester United:

“Matt, I think I’ve found you a genius”. Che tradotto: “Matt, penso di averti trovato un genio”.

Quel Matt era Busby, allenatore dei Red Devils. E poco importa se nella sua carriera Bob abbia portato all’Old Trafford più di 100 calciatori, poco importa la sua paga di due sterline a settimana… Con Best ha fatto il centro più grande: simply the Best… George arriva a Manchester, ma ha nostalgia della sua Irlanda. Scappa, scappa da una cosa che sembra più grande di lui ma non esita a tornare. Non può non tornare, gli dei del calcio gli indicano la retta via che è quella della sua maglia numero 7.

Ai tempi i nordirlandesi non potevano essere contrattualizzati e dunque venne aggregato alle giovanili con un posto da fattorino al canale marittimo di Manchester, un’arteria che in circa 60km collega l’Inghilterra all’Irlanda del Nord. Sembra uno scherzo del destino, una coincidenza… Eppure è così: Best è così lontano quanto vicino a casa sua.

George è un portento, e a 17 anni Matt Busby lo lancia: 14 Settembre 1963, West Bromwich Albion. 1-0 per i diavoli rossi. Torna nelle riserve ma poco dopo il Natale del ‘63, il 28 Dicembre per essere pignoli… Segna. Segna contro il Burnley nel 5-1 finale. Il suo è il quarto della cinquina, e davanti a 48.000 persone prova la sua prima emozione, una sbornia, una gioia, un segno, un simbolo… Un inizio. Ed era ovvio che da quel momento Matt Busby decidesse di tenerlo con sé in prima squadra, e nella fase finale di stagione il ragazzo di Belfast realizza complessivamente 6 reti.

Qualche tempo dopo Busby dichiarò:

“Nello spogliatoio avevo solo un’indicazione tattica: appena possibile date palla a George Best”.

Il motivo è semplicissimo: Best è leggiadro, veloce, scattante, esuberante ed è un calciatore moderno già all’epoca ed un irlandese così d’impatto, in terra inglese, non lo vedevamo dal tempo di Oscar Wilde. Sapete una delle sue frasi celebri?

Ho dei gusti semplicissimi, mi accontento sempre del meglio”.

Ancora il meglio, il migliore, the Best, George ovviamente. La Premier deve modellare sul cratere lasciato da questo meteorite gigantesco, il nuovo modo di affrontarlo a livello difensivo ma nel frattempo… Gioco duro e maschio, di quello “con il tacchetto smerigliato” la mattina prima di giocare. Busby lo sottopone ad allenamenti massacranti, al limite della decenza. Lo allena a subire queste asprità. E’ la stagione 1964-65 quando la stella brilla di luce propria in modo definitivo: il Manchester United è campione d’Inghilterra per la 6° volta nella sua storia. Il nostro protagonista non manca nei tabellini, e ci mancherebbe, 14 gol in 59 presenze in tutte le competizioni.

Passerà definitivamente alla storia nel campionato 1967-68, a 10 anni dalla tragedia di Monaco di Baviera, che il 6 Febbraio 1958 portò via la vita a 23 passeggeri dei 44 complessivi. Sulla pista c’era tantissima neve (e questa è la motivazione ufficiale ma ancora aleggia un mistero sul reale problema), e al terzo tentativo di decollo… Il patatrack. La squadra veniva chiamata dalla stampa Busby Babes, i ragazzi di Busby, quel Matt Busby che raggiunse la semifinale di Coppa dei Campioni sconfitto dal Real Madrid. E’ una tragedia sotto ogni punto di vista, e se la guardiamo in modo frivolo dal lato sportivo, era una squadra prossima a vincere la sua prima “coppa dalle grandi orecchie”.

Ma torniamo a quella sera del 1968, dove il buon vecchio e sopravvissuto Busby ha la possibilità di vincerla davvero, quella dannatissima coppa. La fame è tanta, anche solo per ricordare 8 giocatori e 3 membri del suo staff con il quale condivideva ogni giorno della sua vita. Siamo sotto il cielo di Londra quando i Red Devils alzano la loro prima Coppa dei Campioni. 4-1 in finale al Benfica di Eusébio. Best sigla il 2-1 al 97’, durante il primo supplementare, scartando in assoluta tranquillità il portiere portoghese Henrique. Quella tranquillità forse conquistata la sera prima quando l’irlandese passò la serata in dolce compagnia “di una ragazza dal nome Sue”. Da li è facile toccare il cielo con un dito: 22 anni, campione d’europa, ed ovviamente pallone d’oro al seguito ed una glorificazione da parte dei tifosi memori di quella tragedia: Best aveva ridato a loro quel che il fato gli aveva tolto. Quel dannatissimo fato che in quel momento unì però per sempre quel ragazzo di Belfast alla storia di una gloriosa squadra come il Manchester United. George era un iniziato del gioco, un Dio del tutto pagano vestito di rosso con una maglia numero 7 sulla schiena, una sorta di fede.

 

Ciò che un comune mortale si aspetta di leggere è una carriera costellata di riconoscimenti, gol, premi, e trofei. Ma non è così. Si ha l’impressione che Best, come una cometa, brilli di una luce talmente tanto intensa dal poterla vedere a chilometri di distanza… Tanto bella quanto però di vita breve tanto quanto la sua scia… E così sarà.

Il suo allenatore Matt Busby passa a fare il dirigente e Best perde un padre prima che un tecnico. Nessuno saprà mai più gestire George come Busby. E’ il declino. Nel giro di un anno lo United si ritrova 8° in campionato, incapace di infiammare l’Old Trafford come un tempo.

Best è smarrito come un cucciolo d’uccello allontanatosi dal nido materno ed incapace di volare.

Smarrito quanto la musica inglese e mondiale del tempo, che proprio in quei giorni si stava abituando al fatto che i famigerati Beatles si fossero spezzati da qualche anno, smarriti, persi. Best veniva chiamato il quinto Beatle non a caso: la sua incidenza era tale e quale al gruppo di Liverpool. Ed è il volo di Icaro, così irto verso l’alto dei cieli… Quanto rovinoso verso terra.

Lo stesso volo che prima spiccava sul rettangolo verde, è ora più “colloso”, meno magico, meno Best. E’ il 4 Gennaio 1974 quando non si presenta agli allenamenti, Docherty infuriato lo mette fuori squadra e lui, poco tempo dopo, è ai suoi primi guai con la legge: viene arrestato per aver rubato una pelliccia, un passaporto ed un libretto degli assegni a tale Marjorie Wallace, una meravigliosa americana Miss Mondo 1973. Le accuse verranno poi fatte cadere.

Difficile quando hai 28 anni accettare di essere così forte, e solo sei anni prima pallone d’oro, ritrovarsi poi svincolato. Nella sua biografia, in uno stralcio andiamo a prendere spunto per capire cosa in quel momento possa esser passato nella testa di un personaggio come lui…

Sento spesso raccontare di quella volta in cui un cameriere irlandese mi consegnò dello champagne nella mia stanza d’albergo, dove me ne stavo a letto con Mary Stavin e diverse migliaia di sterline vinte alle scommesse, e mi chiese:

“Quand’è che le cose hanno iniziato ad andarti male, George?”

Anch’io ho raccontato questa storia più di una volta ed è sempre stata seguita da grasse risate. Ovviamente, TUTTO andò storto da allora. Andò male con ciò che amavo di più al mondo, il calcio, e da allora il resto della mia vita si sgretolò. Quando il calcio era importante e io giocavo bene, non vedevo l’ora di alzarmi la mattina: era la mia unica ragione di vita. Quando il gioco non è bastato più a buttarmi giù dal letto, non ho visto altri motivi validi per smettere di bere.

E’ proprio quello che accadrà: non aveva visto altri motivi validi per smettere di bere, il calcio lo intervallava dalla vista di quella bottiglia oltre ogni ragionevole follia, oltre qualsiasi schema: Best si stava distruggendo da solo, e poco importa se ha continuato a giocare girovagando dal Sudafrica ai bassifondi del calcio inglese, addirittura fino alla quarta serie. Poco importa se lo stesso vizio, ma preferiamo di gran lunga chiamarla dipendenza, gli ha portato via la madre che ha da sempre imbracciato bottiglie di Scotch piuttosto che i propri figli. Una dipendenza che consuma il corpo, il fisico, la mente, l’esistenza… La vita.

Prima di raccontarvi uno degli aneddoti che più personalmente ci fanno innamorare di George Best, vi diciamo che nel 1976-77, approda al Fulham nella League Division Two, la seconda divisione. Ha la possibilità di giocare con un mitico Bobby Moore a fine carriera, e sebbene come dicevamo poco fa, la sua atleticità non sia più quella di un tempo, la sua tecnica invece è ancora sopraffina. La squadra trova a fine stagione una salvezza agile, Best rimarrà a Craven Cottage per una stagione e mezzo, totalizzando in tutte le competizioni 10 reti in 47 apparizioni. Best sta facendo avanti e indietro con Los Angeles, dove con la maglia degli Aztecs milita dal 1976 al 1978, intervallando ovviamente con i suoi ritorni in patria.

Ebbene, eccoci qua: 1976, Irlanda del Nord – Olanda, la partita figlia ad una sfida ancor più stuzzicante: George Best contro Johan Cruyff. Bill Elliot, giornalista di razza dell’epoca, osa chiedere a Georgie un parere sull’avversario olandese. E se prima Best è accondiscendente, definendolo “un giocatore eccezionale”, Elliot incalza: “Ok, ma chi è il migliore tra i due?”.

“Stai scherzando vero? Voglio dirti solo questo Bill, appena ho occasione stasera farò un tunnel a Cruyff”.

Per chi non conosce l’epilogo di questa storia dopo queste premesse, può senz’altro già immaginarselo…

Quinto minuto di gioco, fasi di studio, 0-0 sul tabellone. Best riceve palla a sinistra, ma anziché andare a cercare la porta converge verso destra, si libera di tre-quattro avversari, e si trova, finalmente, davanti a Johann. Lo punta: finta di corpo, tunnel. Pugno destro stretto ed alto verso il cielo, ed in tribuna stampa in pochi comprendono… George appoggia, (si fa per dire), la sfera fuori dal terreno di gioco. Non è più importante proseguire l’azione, non serve secondo l’irlandese più influente del secolo (e non ce ne voglia Oscar Wilde), conta solo dire ciò che si ha lì pronto sulla lingua:

“Tu sei il più bravo… Solo perché io non ho tempo”.

La gara era valevole per la qualificazione ai mondiali di Argentina 1978, e terminerà 2-2, ma crediamo fortemente che in pochi la ricordino per quel motivo.

“Clinicamente” la sua vita calcistica termina qui. Citiamo per dovere di cronaca le squadre dove il protagonista di questa storia milita dal 1978 in poi: Los Angeles Aztecs, Fort Lauderdale Strikers, Hibernian, San Jose Eartquakes, Bournemouth, Brisbane Lions, Tobermore United. Spaziando dunque dagli Stati Uniti, alla Scozia, passando per Australia e la sua Irlanda del Nord, quando pone fine definitivamente alla sua carriera da calciatore dopo aver totalizzato 706 presenze e 256 reti.

E’ il 1984, ed il famoso “motivo che lo intervalla tra una sbronza e l’altra” non è più nella sua routine quotidiana. Non ha più motivo per buttarsi giù dal letto, per andare avanti, per avere quella scarica d’adrenalina più forte di una macchina veloce, una bella donna o, appunto, una sbornia.

Finisce in carcere per guida in stato d’ebrezza, aggressione a pubblico ufficiale e mancato pagamento della cauzione.

Mancato pagamento? Si, avete letto bene. Best non ha mai immaginato una vita fuori dal calcio, ha sperperato soldi a destra e a manca, fatto investimenti scellerati. Attenzione: gli stipendi di allora non sono certo paragonabili a quelli attuali, ma George era comunque molto ricco per via delle sue campagne da testimonial per chissà quanti prodotti: era popolare, la telecamera amava lui… E lui amava anche la telecamera. Sì anche, perché il suo vero amore sono le macchine e le donne… No, questo lo dirà in punto di morte. Niente di tutto questo, bensì il calcio. Che tanto gli ha dato… Quanto tolto.

“Ho speso molti soldi in donne, alcol e macchine veloci. Il resto… L’ho sperperato”.

Non può allenare, né fare il commentatore tecnico in televisione. Ed il motivo è semplice: la sua vita è attaccata solo a quella maledetta bottiglia. E’ il 1990 quando la trasmissione “Wogan” lo invita sul piccolo schermo per un’intervista. Può essere un’occasione di rilancio, di mettersi in vetrina, di cavalcare una piccola luce della ribalta… Ma la stampa non parlerà neanche stavolta in modo positivo: in trasmissione è palesemente ubriaco e si lascia andare a frasi sconce e discorsi con poco nesso logico, ovviamente annebbiati dai fumi alcolici che albergano nella sua testa.

Rimane legato in modo indissolubile alla sua bottiglia, lo fa addirittura nel 2004, quando solo due anni prima Best aveva subito un trapianto di fegato. Viene nuovamente arrestato per il reato ormai a lui consueto: guida in stato d’ebrezza.

Aveva provato a smettere di bere? Si, ma il risultato era stato pessimo, ed anche qui ci viene in mente una sua frase celebre:

“Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcol: sono stati i 20 minuti peggiori della mia vita”.

Lascio a voi pensare se ciò che disse fosse più legato ad uno stato depressivo acuto, che ad uno euforico per la bella vita da privilegiato che aveva la possibilità di fare.

Non ci dilungheremo a parlare del figlio Calum nato nel 1986 dal suo primo matrimonio con Angela MacDonald-Jane’s, una bellissima modella britannica da copertina PlayBoy. Ma prima di procedere con l’epilogo, Angie a dieci anni dalla scomparsa dell’ex marito dichiarerà:

“Con George era difficilissimo averci a che fare. Ma l’ho amato così tanto…”.

E come biasimarla…

Calum non ha mai avuto un grande rapporto con suo padre, ma quando il 2 Ottobre del 2005 al Cromwell Hospital di Londra viene ricoverato in terapia intensiva, lui c’è. Il motivo è un’infezione dovuta ai farmaci assunti per via di quel fegato “nuovo”, che non voleva stare nel suo corpo. Migliora, per poi peggiorare nuovamente. Si ha la sensazione che siamo vicini alla fine. All’ospedale arriva Bobby Charlton, e non può mancare Denis Law, ed ecco che il tridente delle meraviglie del Manchester United è di nuovo riunito. Best soffre e lotta in un letto d’ospedale, ed è qui che i rimpianti gli assalgono la mente: è il 20 Novembre 2005 quando il tabloid inglese “News of the world” pubblica su richiesta del campione di Belfast una foto che lo ritrae in quelle condizioni, con sù scritto un messaggio eloquente:

“Don’t die like me”

Non morite come me.

Tiriamo un sospiro lungo, e pensiamo: cosa ha spinto Best in punto di morte a dire di non essere come lui… La paura di perire? Il senso di colpa? I rimpianti per il suo talento gettato alle ortiche? Il rapporto con il figlio ritrovato solo quando ormai serve a ben poco? I due matrimoni? Un patrimonio sperperato?. Facciamo fatica a dargli una giusta definizione, un giusto inquadramento… Ma George non si smentisce nemmeno adesso: fa parlare di sé, lo fa ponendo nei lettori una riflessione, ed indipendentemente da quale sia… Non fate come lui. Talvolta apprezzare le piccole cose magari ci avvicina un poco all’utopia più grande del globo: la felicità eterna.

25 Novembre 2005: George Best lascia questa terra a soli 59 anni. Infezione epatica.

Riposerà nella tomba accanto alla madre, a Belfast, nella sua Belfast. Talmente sua che adesso, chi atterra con qualsiasi volo, lo fa al “George Best city airport”.

Al funerale del 3 Dicembre 2005 parteciperanno 25.000 persone.

“Quando me ne sarò andato. La gente dimenticherà tutta la spazzatura e ricorderà solo il calcio. E se una sola persona penserà che io sia stato il miglior giocatore al mondo, questo sarà abbastanza per me”.

Firmato – George Best…

“You’re simply the best, better than all the rest”.

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Gabriele Caldieron
Giornalista pubblicista specializzato nel mondo sportivo. Ex collaboratore di Football Data agenzia di statistica calcistica a livello Nazionale. Sono opinionista nella trasmissione regionale più vista in Toscana “A tutto gol” con Giorgio Micheletti su Toscana TV, direttore di www.labaroviola.com, sono co-fondatore di www.storiedipremier.it e www.ilcalciolatino.it. Sono Responsabile Comunicazione della Rondinella Marzocco. Conduco un programma sul calcio dilettantistico regionale presso Tele-FirenzeViolaSuperSport.

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