Quel giorno, precisamente l’11 di maggio, 56 persone ancora non lo sanno che andando a vedere una semplice partita di pallone non torneranno mai più a casa. Impossibile anche solo da pensare, eppure succede. Dopo 40 minuti di gioco qualcosa – secondo le prime ricostruzioni dell’epoca una sigaretta caduta accidentalmente, oppure un fiammifero – fa divampare un incendio che attacca l’enorme struttura in legno, nel settore G dello stadio.
L’arbitro Don Shaw, su segnalazione del guardalinee, ferma subito il match. La polizia comincia rapidamente ad evacuare i tifosi, ma la tribuna costruita nel lontano 1908 è composta da materiali altamente infiammabili. Semplicemente, non c’è tempo. Bastano un paio di minuti perché le fiamme avvampino, divorando ogni cosa. Sembra folle, assurdo, morire così. I sopravvissuti diranno che respirare era quasi impossibile. Gli altri, quelli rimasti indietro, vengono arsi dalle fiamme o muoiono per i fumi inalati.
In molti cercano rifugio sul terreno da gioco. Altri si spostano verso le case vicine. Altri ancora provano a dare una mano alla polizia ed ai vigili per domare l’incendio, ma nello stadio non ci sono estintori: sono stati rimossi per paura di vandalismi da parte degli hooligans. Anche le due squadre in campo si danno da fare per dare una mano: tra loro c’è anche il manager del Bradford Terry Yorath, che ha i suoi familiari proprio nella tribuna in cui è divampato l’incendio. In 4 minuti quella tribuna non esiste più e, con essa, 56 vite volano via in un modo folle.
Ma non accidentale, secondo le successive inchieste. Le prove, all’epoca, vengono acquisite in sole 4 settimane ed il processo è archiviato come “fatalità”. Ma a ribaltare l’iniziale versione dei fatti – rogo scaturito da mucchi di spazzatura sotto le tribune che avrebbero preso fuoco – ci pensa il libro di un sopravvissuto che ha condotto un’indagine personale sulla dinamica dell’incendio. Ne emerge, a seguito di test scientifici e simulazioni, che soltanto nel 27% dei casi un fiammifero fatto cadere accidentalmente su un cumulo di spazzatura avrebbe potuto causare un incendio di quelle proporzioni. Una percentuale che scende ancora se si considera che il fiammifero avrebbe dovuto infilarsi, cadendo, in un minuscolo spazio tra i seggiolini prima di appiccare l’incendio senza spegnersi da solo, proprio per via della caduta.
Martin Fletcher – questo il nome dell’autore del libro Fifty – six. The story of Bradford fire – quel giorno ha soltanto 12 anni. Perderà in un colpo solo il fratello, il padre, lo zio e il nonno. Una ferita troppo grande per potersi rimarginare. Troppo per non pensare di cercare la verità da solo, a dispetto di un’inchiesta messa giù in fretta e furia, come se non si volessero trovare colpevoli.
Come mai, si chiede Martin, dal giorno dell’inaugurazione dello stadio – nel lontano 1908 – non era mai successo nulla del genere? Eppure, secondo i calcoli, da allora lo avevano frequentato 1,25 milioni di persone, abilitate a fumare, ad usare fiammiferi e accendini.
Domande che sono ancora destinate a rimanere senza una risposta univoca, ma una cosa è certa: una pagina di una storia che sembrava archiviata è stata riaperta. Quelli come Martin non avranno mai pace e non smetteranno mai di cercare la verità.